di Stefano de Carolis
Il ricordo della peste scoppiata nel 1656, per i cittadini baresi, era troppo vicino. In quel “annus horribilis”, avevano patito una decina di migliaia di morti. Basti pensare che la città di Bari agli inizi del 1700 contava 2300 “fuochi”, circa dodici mila anime.
L’improvvisa notizia del ritorno della peste, iniziò a girare verso la fine del 1690, e tale voce iniziò a diffondere molta preoccupazione e sconcerto nella popolazione, e soprattutto nelle autorità governative che da qualche mese avevano allertato la capitale del Regno, dando notizia di un probabile contagio di peste.
Il Vicerè del Regno di Napoli, Francisco Benavides Conte di Santisteban, memore della tremenda peste del 1656, preoccupato, inviò a Bari alcuni suoi fidati collaboratori, affinchè accertassero il contagio in terra di Bari. Fra questi fece partire un suo consigliere, Carlo Brancaccio con la carica di governatore di Bari, e due medici napoletani, Luca Tozzi e Giovanniantonio Vitale, grandi esperti del morbo della peste.
Intanto Marco Garofalo marchese della la Rocca, Preside di Bari e delle quattro provincie (Otranto-basilicata-Capitanata e Molise), chiamò i medici migliori che operavano nella provincia di Bari: Marco Aurelio Salice, Vincenzo Braico, Maffei da Modugno, e i medici Morea e Giovanni Stella entrambi di Bitonto.
Questi, nel gennaio 1691 per primo, si portarono in Conversano per controllare la situazione sanitaria del paese, e per investigare su alcune persone del posto, chiedendo loro se erano a conoscenza del contagio di peste. In particolare chiesero spiegazioni a Giuseppe Schiavelli, il quale contrariato della domanda e con chiaro vittimismo rispose:
“…i nemici del conte hanno sparso d’esservi la peste per insinuarsi nelle caccie riservate, ma la peste sta solo nel loro cuore, i quali osavano dire di voler gittare giù il mantello e scoprir le opere di Conversano”
Richiamato dai medici a rispondere se sapesse del contagio, Schiavelli in modo evasivo disse:
“..si tratta di febbre maligna fra pochi villani conversanesi che s’erano cibati di funghi”.
Giuseppe Schiavelli venne arrestato il 16 febbraio 1691, nella torre di Girifalco, sul confine di terra d’Otranto. abbiamo già raccontato le sue sorti e la tragica fine che subì il conte di Conversano.
Anche nella citta di Bitonto arrivò la paura del contagio della peste, nel mese di febbraio 1691 venne accertata la morte di due giovani ragazzi di Bitonto, e si venne a sapere che i loro genitori stavano molto male, pare che questi avevano avuto contatti con alcune persone di Palo, che avevano contratto il morbo. Il marchese della Rocca avuta notizia si reco a Bitonto, e accertato il contagio ordinò che la casa dei bitontini fosse sigillata e murata, e le loro “robbe” venissero bruciate. Fuori della città fece istituire un lazzaretto con la vigilanza di un nutrito numero di guardie. Dispose che tutti i cittadini di Bitonto si attenessero ai rigidi bandi emanati, e ordinò di tenersi a distanza l’uno dall’altro. Tutto si sarebbe svolto sotto l’attenta vigilanza di Don Paolo Dentice, governatore della città. Il 24 di febbraio 1691 morì un bitontino di professione “beccamorto”, lo stesso si era infettato quando ci furono i primi contagi.
Il Vicerè di Napoli scrisse al marchese della Rocca, raccomandandogli di usare tutta l’autorità e le cautele necessarie per assicurare “LA SALUD PUBLICA DESTE REYNO”. Il conte Benavides di Santisteban, era estremamente attento e meticoloso, richiedeva relazioni di tutto quello che accadeva nella citta di Bari e nella sua provincia.
Non risparmiò cure e denaro, dalla capitale inviò, medici, cerusici e soprattutto medicine con l’ordine tassativo che non si alterasse il prezzo e non si facessero speculazioni. Ordinò altresì che i medici dovevano rilasciare gratuitamente le “bollette della salute”.
Da Napoli arrivarono a Bari, i “cerusici”, Francesco Campitelli e Giambattista Fortunato, e due medici esperti, Giovanni Pagliaresco e Giovanni D’Antola. Quest’ultimo venne mandato a curare i malati di peste a Conversano, perchè aveva fatto esperienza in Spagna a Malta e a Genova.
Per quanto riguarda la gestione ed il governo dell’emergenza del contagio in terra di bari, particolare fu la l’istituzione del cordone sanitario, dove rientrava anche Bitonto, era lungo un centinaio di miglia ed era vigilato da duemila militari. Il cordone sanitario, compreso di forche in legno, palizzata con rovi, pariete in pietra alta 4-5-palmi e giornate lavorative per gli operai, costò 934 ducati.
il 17 marzo 1692 il marchese della Rocca avuta certezza che nella città non vi era più il temuto contagio, a tutti i baresi diede nuovamente la sospirata libertà, venne riaperto tutto il commercio e si ritornò a vivere. Nei mesi a seguire vennero riaperte le altre città della provincia.
Marco Garofalo Marchese della Rocca, nei due lunghi anni, riuscì con non poche fatiche, a superare il contagio, e a non diffonderlo altrove. Il Vicerè di Napoli lo ricompensò concedendo la carica di Preside e Governatore delle Armi di Calabria.
A Bari si raccolsero tutti gli auditori, ufficiali, deputati, medici, scrivani, cerusici, mercanti, soldati per chinarsi al nuovo Governatore di Bari, Francesco de Puga y Feijo, e si contò la spesa complessiva di 117.326 ducati, per la gestione dei due anni del contagio in terra di Bari.