C’è stato un tempo in cui il calcio era vicenda d’anime, non solo dotte disquisizioni su tatticismi esasperati- entusiasmanti quanto le discussioni sul sesso degli angeli – o illudenti bufale sui rivolgimenti mercataioli.
No, il pallone era una cosa seria, un intarsio fascinoso di storie tutte particolari da raccontare.
E in un’era così ci volevano penne con il cuore dentro per raccontarle.
Anni Ottanta. Il Bitonto dopo una stagione esaltante in Promozione – l’Eccellenza non aveva ancora visto la luce – sbarcava in Interregionale e a narrarne le epiche gesta ci pensa un periodico che oggi quelli bravi chiamerebbero house organ: “Il Leoncello” (testata bicroma, ovviamente, come sangue comandava).
Nelle edicole e al Comunale di via Megra veniva distribuito ogni quindici giorni e andava a ruba.
Pensato come un grande giornale, aveva una struttura immediatamente accattivante: il commento alla giornata precedente, la presentazione della gara che si sarebbe disputata quella domenica, un editoriale di riflessione, fotografie suggestive e resoconti dettagliati, interviste che scontornavano i personaggi e aneddoti che incuriosivano.
La galleria di volti era spettacolare: mister Fantasia e il fuoriclasse Gianfranco Cannone, l’eterno, imperiale Mimmo del Re e il versatile talentuoso Paolo Catucci, il magnanimo Onofrio Chiricallo, poi tragicamente scomparso, e l’indomabile guerriero Nanuccio Naglieri, gli inossidabili fratelli Ciocca e tanti altri, la mitica squadra che nel ’67-’68 artigliò la IV Serie, il per noi solito tristanzuolo interrogativo: “Ma il pubblico dov’è?”.
Questi fogli erano piccoli capolavori di giornalismo artigianale (ho visto ex calciatori custodirli come gioielli, ndr), quello graffiato cotidie con passione e cultura, che non poteva non essere firmato da due cronisti di razza: Nicola Lavacca e Valentino Losito, in rigoroso ordine alfabetico (due colleghi eccelsi: uno pluripremiato e l’altro Presidente dell’ordine dei giornalisti pugliesi), ché mi pare che il lavoro fosse benedettinamente diviso in due, dalla raccolta pubblicitaria sino alle strisce di stampa dal torvo tipogtafo barese, passando per la scrittura dei pezzi.
Insomma. Sembra che tutto questo schietto sublimare di sentimento neroverde venga da un’epoca antica, che poco o nulla ha a che vedere col web e la liquidità delle emozioni, che dà importanza cruciale a tutto e paradossalmente rischia di togliere valore a tutto.
Archeologia della stampa sportiva, verrebbe da osservare, ma che fa tanto bene al cuore di chi ama la sfera di cuoio in cui tutti, da chi scende sul prato a chi canta sugli spalti, ci scorgono i propri sogni…