È notizia del marzo scorso l’assoluzione degli imputati nel processo contro le agenzie di rating per il declassamento di due gradini (da A a BBB+) del rating sovrano dell’Italia del 2012. Gli analisti indagati dal pm bitontino Michele Ruggiero furono assolti dopo essere stati accusati di aver manipolato i mercati finanziari, tra maggio 2011 e gennaio 2012, diffondendo quattro report e declassando il rating, mentre l’impennata dello spread provocò la fine del governo Berlusconi e mentre l’Italia era nel mirino dei mercati.
Tuttavia, a distanza di sei mesi, i giudici del Tribunale di Trani hanno accertato il tentativo di deviare le indagini e l’intenzione di azionisti, manager e analisti di danneggiare per motivi politici ed economici l’Italia. Per i giudici, infatti, il processo a carico di Standard & Poor e Fitch ha evidenziato i profili di incompetenza degli analisti e di quelli del debito sovrano in particolare: gli stessi profili di criticità evidenziati da Pierdicchi (all’epoca dei fatti AD di S&P Italia, ndr) al presidente mondiale di S&P, Deven Sharma in un’intercettazione telefonica. Sharma è dunque consapevole della inadeguatezza degli analisti del debito sovrano.
Per il Tribunale di Trani, il processo per manipolazione del mercato nei confronti di analisti e manager di S&P, conclusosi il 30 marzo scorso con l’assoluzione di tutti gli imputati, avrebbe comunque fatto emergere intrecci tra azionisti, manager, analisti, dirigenti del Tesoro, banche di affari e agenzie di rating, ma non avrebbe consentito di delinearne in maniera definitiva i confini proprio per la reticenza manifestata.
I testimoni, secondo le parole dei giudici, riportate nelle 315 pagine della sentenza, avrebbero dovuto avere il dovere di fornire una più ampia e sincera collaborazione, «frenata o da interessi personali o da interessi di natura politica in un chiaro tentativo di frammentare le singole condotte, ostacolando l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato e, ancor prima, ostacolando la riconduzione a un disegno unitario di tutte le condotte, anche di quelle antecedenti all’azione del rating del 13 gennaio 2012, in un’ottica di sicuro pregiudizio per l’Italia, descritto dalla dirigente del debito pubblico Maria Cannata. In un contesto di velata, ma sostanziale, reticenza dettata da interessi di natura personale commisti a compiacenza nei confronti di S&P – di cui hanno tratto vantaggi per la loro carriera – si collocano le testimonianze della general manager Maria Pierdicchi (all’epoca dei fatti AD per l’Italia dell’agenzia di rating, ndr) e dell’analista bancario Renato Panichi».