Quando, al culmine della Giornata del Premio nazionale di Medicina e Psicologia Santi Medici, è stato chiamato sul palco dell’Auditorium “De Gennaro” per ricevere il prestigioso riconoscimento di Cultore della Scienza 2015, il prof catodico Michele Mirabella s’è impadronito della scena e ha fatto da indiscusso mattatore.
Con lieve ironia socratica ha preso a sferzare un po’ tutti, non disdegnando ammirazione per chi la merita e ricorrendo ad una aneddotica sapida, accattivante e nostalgica. “Sono nato a pochi metri di qui e posso dire che questa è una città terribile, se pensiamo che confusi dai giochi del Luna park quest’anno si sono messi a fare il tirassegno anche con le persone. Ma Bitonto sta rinascendo, quando vedo un palazzo antico che si restaura, un rigagnolo d’acqua sedato o un teatro che riapre dopo decenni di silenzio, riconosco i segni di una nuova vita, iniziata col sindaco Nicola Pice ed ora irrobustita da Michele Abbaticchio“.
Dopo aver elogiato le dettagliate relazioni delle dottoresse che lo avevano preceduto, non si è lasciato sfuggire un’annotazione critica: “Grazie, grazie davvero per quello che fate, care ricercatrici, questo paese è salvo per merito dei giovani ricercatori che per 1255 euro al mese ogni giorno si battono nella lotta contro il cancro. Eccepisco, però, sull’uso sventurato della lingua inglese, rispettate e curate la lingua italiana che è una lingua malata. Anche io, ai convegni tecnici, uso il latino dei nostri tempi, ma quando parlate a tutti usate la nostra lingua. Perché dite “care” quando è così bella e dolce la parola “cura“?”.
“Ricordo quando noi bambini andavamo a chiamare il medico di famiglia, che abitava sempre in alto, scendeva e chiedeva: “Cosa è successo?“. Ecco, chi si ammala non è uno sfortunato da vedere con ribrezzo e distacco, l’accadere è della malattia, è di questo mondo, chi si ammala è un essere umano come tutti, più di tutti. Mi rivolgo a voi, uomini col camice bianco, la vostra mano che si posa sulla spalla del paziente sia sempre una carezza. Paziente deriva dal latino patior e indica colui che soffre e che vorrebbe solo essere curato, una parola meravigliosa”.
Infine, fedele all’etimo del termine simpatia – condivisione di un dolore – il Nostro ha citato il luminare amico Augusto Murri (“più anziano di me, pensate quanti anni avrà“, ha ghignato sornione), che, rivolgendosi ai suoi allievi, soleva ripetere: “Curare è obbligatorio, guarite se potete, confortate sempre”.
Tra applausi scroscianti, espressioni di compiacimento e mani desiderose di abbracciar l’amico che non si vedeva da tanto, s’è conclusa la prolusione del “papà” di Elisir (“dall’arabo al iksir, la pietra filosofale che da tutte le malattie guarisce” ha precisato, rintuzzando l’attacco del vescovo di Cassano all’Jonio, don Ciccio Savino, che, sorridendo, provava a coglierlo in fallo nell’uso di un idioma foresto).
Il ramo d’ulivo scolpito come premio, le foto di rito con le autorità e una frase rubata a Mirabella durante uno dei mille, affettuosi dialoghi intrapresi ieri sera: “U vtndois iei crvddoin“.
Come dargli torto, dopo averlo ascoltato ieri sera, ma pure seguito dai tempi delle prime regie teatrali, le sorprendenti prove d’attore, persino un cammeo con l’indimenticabile Massimo Troisi, i programmi tv e i libri mai banali scritti?