DI FRANCESCO RUTIGLIANO
Sul ritorno in presenza a scuola si discute molto. La Ministra Azzolina, con lo scudo forte del Presidente Conte, è ferma nel ribadire che il 14 si torna a scuola. Molti sono gli interrogativi e per essi molti sono gli incontri tenuti dagli organi di Governo per definire gli ultimi passaggi sulle misure di sicurezza. In tutto questo si parla ben poco dei “lavoratori fragili”, né tanto meno le ultime “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia” del 21 agosto, prodotto dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con diverse istituzioni, tra cui il Ministero della Salute, hanno dato il giusto contributo su tali lavoratori. Nella categoria dei lavoratori della scuola viene dimenticato il “lavoratore fragile” ossia colui con oltre 55 anni, a prescindere dalla presenza o meno di patologie o stati di malattia. Gli Organi competenti non hanno tenuto conto che il numero del personale scolastico con età media over 55 (lavoratori fragili) riguarda quasi la metà. Ciò significa che ben oltre 400 mila insegnanti, amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici, e molti altri dipendenti pubblici, sono “fragili” e più esposti al rischio Covid. Eppure l’INAIL lo scorso mese di aprile aveva redatto un documento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla base dei dati epidemiologici disponibili, evidenzia che rientrano nella categoria dei soggetti “fragili” le lavoratrici e i lavoratori di età superiore ai 55 anni, ovvero di età inferiore ai 55 anni con alcune tipologie di malattie cronico degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche) che in caso di comorbilità con l’infezione possono influenzare negativamente la severità e l’esito della patologia. Nello specifico il Documento tecnico, con riferimento ai lavoratori maggiormente esposti a rischio contagio, documenta infatti che “i dati epidemiologici mostrano chiaramente una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione, nonché in presenza di alcune tipologie di malattie cronico degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche) che in caso di comorbilità con l’infezione possono influenzare negativamente la severità e l’esito della patologia” ed indica l’età di 55 anni quale parametro di riferimento.
Pertanto, in base a tale Documento tecnico dell’INAIL dovrebbe essere introdotta la sorveglianza sanitaria speciale anche sui lavoratori con età superiore a 55 anni. Tale necessità viene ribadito dall’art. 83 del decreto legge 19 maggio 2020 n. 34 e sua conversione in Legge 17 luglio 2020, n. 77 che ha introdotto la “sorveglianza sanitaria eccezionale”, assicurata dal datore di lavoro, per i “lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia COVID-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da morbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità”. Allora, perché dell’indicazione riferita ai lavoratori della scuola over 55enni non c’è traccia nel rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità? Come mai gli stessi ad aprile venivano considerati dei potenziali inidonei temporanei ed oggi sono dimenticati e, tra l’altro, non viene neanche indicato il loro diritto alla sorveglianza sanitaria speciale? Sono interrogativi ai quali lo stesso Istituto Superiore della Sanità e la Ministra dell’Istruzione dovrebbe dare una risposta.
Invero, nel rapporto sulle indicazioni operative per il trattamento dai casi Covid nelle scuole, si rimanda alla norma di riferimento per la garanzia dei lavori fragili in ambito lavorativo, ossia al D.Lgs 81/08 e successive modifiche ed integrazioni, nonché da quanto previsto dalla specifica normativa ministeriale (DM 29 settembre 1998, n. 382). Quindi, il datore di lavoro nel DVR deve indicare la presenza dei rischi normati attraverso il D.Lgs 81/08. In esso è prevista anche la sorveglianza sanitaria, con la nomina di un medico competente per l’effettuazione delle visite mediche “finalizzate all’espressione del giudizio di idoneità alla mansione”. Insomma, la tutela sanitaria di questi lavoratori fragili è lasciata al datore del lavoro il quale, laddove richiesto dall’interessato, oltre ad affrontare la mole di accortezze sulla sicurezza degli alunni, deve assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale attraverso il medico competente che potrà essere nominato ex art. 41 del D.Lgs 81/08, ovvero nominato ah hoc per il periodo emergenziale, ovvero attraverso la richiesta ai servizi territoriali dell’Inail che vi provvedono con propri medici del lavoro. Sul punto si deve evidenziare che secondo l’Accordo Governo-Parti sociali del 14 marzo 2020 e sua integrazione del 24 aprile 2020, spetta al medico competente segnalare all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy.
Ma laddove il lavoratore fragile fosse dichiarato inidoneo alla mansione da parte del medico competente, cosa succede? Potrà svolgere la propria prestazione lavorativa in modalità agile?
Ai sensi dell’art. 90, co. 1 del D.L. Rilancio nel testo modificato dalla L. n. 77/2020 viene sancito che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, il diritto allo svolgimento delle prestazioni di lavoro in modalità agile è riconosciuto, sulla base della valutazione del medico competente, anche ai lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, nell’ambito della sorveglianza sanitaria eccezionale di cui all’articolo 83 del D.L. Rilancio, a condizione, però, che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa del prestatore di salute cagionevole. Pare, dunque, sostenibile, sulla base del tenore della norma in esame, che il diritto al lavoro agile previsto dall’art. 90, co. 1, anche con riferimento ai lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, non sia incondizionato o assoluto, bensì debba essere esercitato all’interno dell’accordo individuale, ove esistente, o nei limiti di compatibilità con le caratteristiche della prestazione stabilite dal datore di lavoro. Nella sciagurata ipotesi in cui non fosse utilizzabile il lavoro agile, posto il divieto di recesso contrattuale, il datore di lavoro, eventualmente anche in sede protetta ex art. 2103, comma 6, c.c., dovrà, se possibile, trasferire temporaneamente il lavoratore fragile a mansioni, equivalenti o anche inferiori, compatibili con il suo stato di salute (con conservazione, sulla carta, del trattamento economico pregresso), comunque adottando ogni necessaria misura preventivo-protettiva capace di scongiurare o significativamente limitare il possibile contagio, oppure, trovare soluzioni alternative utilizzando istituti lavoristici provvisoriamente sospensivi della prestazione, quali, permessi, ferie, aspettative retribuite e non, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
Tra l’altro, nel precetto rubricato come “sorveglianza sanitaria”, riportato dall’art. 83 del decreto legge 19 maggio 2020 n. 34 e sua conversione in Legge 17 luglio 2020, n. 77, si imbatte in una difficile interpretazione normativa riguardo alla proroga dello stato di emergenza. In forza di tale norma, come abbiamo già detto, il legislatore introduce nell’ordinamento che tutela la sicurezza e la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro una nuova (emergenziale) fattispecie di sorveglianza sanitaria definita “eccezionale”, la quale, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza per rischio sanitario sul territorio nazionale, prorogata al 15 ottobre 2020 dalla delibera del CdM del 29 luglio, va ad aggiungersi a quella normalmente prevista dal D.Lgs. n. 81/2008, in particolare all’art. 41. Ma, alla luce del D.L. 83/2020, contenente “Misure urgenti connesse con la scadenza della dichiarazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 deliberata il 31 gennaio 2020”, la proroga dello stato di emergenza sanitaria al 15 ottobre disposta il 29 luglio non è generale in quanto nell’allegato 1 del decreto, richiamato dal comma 3 dell’art. 1, sono elencati, tassativamente, i provvedimenti ai quali si applica la prosecuzione dello stato di emergenza unitamente ad alcuni ai quali la proroga si applica ma solo fino al 14 settembre (segnatamente il diritto, relativo, allo smart working per i lavoratori genitori di figli infra quattordicenni). A complicare ulteriormente il contrasto, entra in ballo l’art. 1, comma 4, il quale stabilisce che tutti i provvedimenti legislativi con termini connessi o correlati allo stato di emergenza che non sono ricompresi nell’allegato 1 scadono, conseguentemente, il 31 luglio. Allora la domanda nasce spontanea. Poiché fra i provvedimenti non ricompresi nell’allegato 1 c’è anche l’art. 83 del D.L.n. 34 convertito dalla legge 77/2020, ci si domanda se la sorveglianza sanitaria eccezionale non debba più essere assicurata dalle aziende a partire dal 1° agosto o se, invece, tale incombenza e la relativa disciplina che, giova ricordarlo, fra l’altro vieta il recesso datoriale per i lavoratori fragili inidonei, continui a produrre effetti fino al 15 ottobre. Tuttavia, l’evidente contrasto normativo non può che essere risolto ritenendo il citato art. 83, per il tramite del richiamato art. 90, comma 1 secondo periodo, del D.L. 34, ancora pienamente in vigore fino al 15 ottobre 2020. Questo perché fra le disposizioni legislative inserite nell’allegato 1, di cui si dispone la proroga al 15 ottobre, si rinviene anche quella regolata all’art. 90, comma 1, secondo periodo, del D.L. n. 34, conv. dalla l. n. 77/2020, secondo la quale, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19”, hanno diritto a svolgere le prestazioni di lavoro in modalità agile, i lavoratori “fragili” giudicati inidonei dai medici competenti “nell’ambito della sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 83 del presente decreto, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa”.