Barbara Balzerani è morta. A 75 anni si è spenta colei che fu tra i membri più fieri e più spietati delle Brigate Rosse, dirigente della colonna romana e tra gli ultimi esponenti ad essere arrestati il 19 giugno 1985.
Mai pentita, oltre che del rapimento Moro, fece parte del commando che, l’8 gennaio 1980, uccise, a Milano, il poliziotto bitontino Michele Tatulli, che ogni anno la città natale ricorda dinnanzi alla lapide commemorativa all’ingresso del municipio. “Strage di via Schievano” è la denominazione di quello che fu uno degli ultimi drammatici episodi degli anni di piombo. Di lì a breve, gli anni ’80 avrebbero chiuso definitivamente quel capitolo tragico.
La morte di Tatulli e dei suoi colleghi Antonio Cestari e Rocco Santoro fu il macabro messaggio di accoglienza per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, appena insediatosi nel capoluogo lombardo. A sparare furono, oltre a Balzerani, Nicolò De Maria, Mario Moretti e Nicola Gianicola, esponenti della colonna Walter Alasia.
Nel 2011 era tornata in libertà, dedicandosi alla scrittura. Un’attività che, nel dicembre 2014, la portò in una distratta città di Bitonto che non si accorse che stava ospitando proprio la fiera assassina di un ragazzo di soli 25 anni. Fu accolta per presentare il suo romanzo “Lascia che il mare entri”. Ma solo dopo l’evento qualcuno notò che quella scrittrice era la stessa persona che 34 anni prima aveva preso parte a quel massacro.
Non fu la prima brigatista ad essere ospitata a Bitonto. C’era stato già Renato Curcio. Ma la presenza di Barbara Balzerani indignò molto di più. La città ospitava colei che le aveva assassinato uno dei suoi figli. Ne seguì, ovviamente, un caso politico che coinvolse anche l’allora amministrazione Abbaticchio, nonostante l’evento fosse stato organizzato da privati, senza alcun patrocinio comunale (anche se fu in un luogo pubblico, il Torrione Angioino). Michele Abbaticchio si scusò pubblicamente, sottolineando di non avuto alcun ruolo, di non aver vagliato la proposta specifica e di non aver presenziato.
«L’amministrazione comunale è corresponsabile della mancanza di rispetto e sensibilità che questo evento ha prodotto – fu il commento di Rita Tatulli, sorella di Michele -. Seppur prendendo atto delle scuse fatte a posteriori, non riusciamo ad accettare l’accaduto e far finta di niente. Perché ospitare l’assassina di Michele, come se potesse insegnare qualcosa a qualcuno, è stato infangare la memoria di mio fratello e degli altri colleghi. Per noi resta e resterà l’assassina di Michele, anche perché non si è mai pentita né dissociata».