La donna, esile e stanca, è vestita poveramente, come uno spaventapasseri.
Con due occhiaie più buie della notte, s’aggira fra le ombre della sera e non sa dove andare.
Trascina avanti e indietro con dolore un passeggino un poco arrugginito, insufficiente per i due figlioletti, che cominciano a scendervi e salirvi gioiosamente, manco fossero due scoiattolini disneyani, se qualcuno appena carezza i loro visini bellissimi.
Il suo vagare nel nulla s’arresta dinanzi a noi.
Poche parole, quasi sussurrate con pudore: “Chiedo scusa, mi sto dannando l’anima da ore per trovare anche solo pochi spiccioli per i miei piccoli“. Sì, pronuncia proprio queste parole: “Mi sto dannando l’anima“.
Frugo nella tasca e vi trovo, purtroppo, solo un paio di monetine.
Un’immensa ricchezza per la signora: “Grazie, grazie, grazie davvero. Siete il primo questa sera a darmi qualcosa. Lo faccio soprattutto per loro, che non vedono una fettina di carne da mesi. Mio marito proprio non riesce a trovare un lavoro ed io ho paura che i servizi sociali me li possano portare via“.
Per un attimo, i presunti affanni della nostra quotidianità – l’autobus perso per un minuto, la camicia mal stirata, una dispuita scoppiata su Facebook – diventano coriandoli di futilità.
E’ qui l’abisso della povertà e della disperazione.
“No, vi prego, non fate niente, non scrivete niente, ce la devo fare da sola…“: la solitudine del cuore di una madre che ama con la forza di una madre.
E così, dopo aver ringraziato ancora una volta, con gli occhi spenti torna a perdersi fra le tenebre della vita…