Il
25 aprile fu il giorno delle liberazione. Un giorno felice in cui l’Italia si
lasciava alle spalle l’oppressione nazifascista per iniziare una nuova era. Ma
a Trieste si combatteva ancora. E si combatterà fino al ’53. La città infatti
fu al centro delle mire espansionistiche della Jugoslavia di Tito e si trovò
divisa con la divisione dell’Europa in due blocchi contraddistinti.
Se
ne è parlato lunedì durante l’incontro, nell’ambito della rassegna Memento, con Michele Pigliucci, autore di “Gli ultimi martiri del risorgimento. Gli
incidenti per Trieste italiana del novembre 1953”, interessante ricerca su
un capitolo della storia italiana ancora poco approfondito.
Maggio
’45. Trieste è stata appena liberata dai tedeschi, grazie all’azione delle
brigate partigiane jugoslave, degli alleati, in particolare inglesi, e dei
partigiani italiani del CLN. In particolare a giungere prima nella città furono
i titini che, grazie all’appoggio britannico diedero inizio all’occupazione
jugoslava. Fino al ’47 quando, con il Trattato di Parigi, la città divenne un
piccolo stato indipendente protetto dalle Nazioni Unite, sotto il nome di
Territorio Libero di Trieste. Una parte era governata dagli alleati
angloamericani, un’altra dall’esercito di Tito.
Per
i successivi sette anni i combattimenti continuarono tra chi voleva riportare all’Italia
quelle terre volute sin dal risorgimento e gli jugoslavi che miravano al
controllo di un importante porto come Trieste. Questi ultimi furono appoggiati,
come spiega l’autore dagli angloamericani che vollero così portare Tito dalla
propria parte approfittando delle divergenze, all’interno del blocco comunista,
tra Jugoslavia e Unione Sovietica.
L’autore, dialogando con il giornalista Marino Pagano, ha dunque ricordato alcuni degli insorti nel nome di Trieste italiana, alcuni
degli “ultimi martiri del risorgimento”
come li definisce il titolo della sua opera.
Le
mire titine sulla regione furono anche la principale causa della tragedia delle
foibe, che vide scomparire migliaia di italiani, vittime di un genocidio per decenni
dimenticato.
«Fu una tragedia italiana, non solo giuliana. E la presenza di un cittadino di Bitonto, città lontanissima, tra le vittime lo conferma (il riferimento è ad Emanuele Pannone, ricordato da Fiorella Carbone, ndr)»
ricorda Pigliucci, sottolineando come è vero che anche l’Italia, sotto il governo fascista, fu responsabile di gravi violenze verso la minoranza slava, ponendo in
essere un’italianizzazione forzata, «ma mai ci fu l’intenzione di
sterminarla fisicamente».
Nella sua analisi storica l’autore punta anche il dito contro le responsabilità di Palmiro Togliatti e del Pci dell’epoca nel nascondere quelle vicende: «Il Pci incito espressamente ad accogliere gli jugoslavi come liberatori. Quella propaganda fece in modo che quei profughi che fuggivano dalla persecuzione fossero visti come fascisti nel resto d’Italia. Nonostante molti di loro fossero stati anche partigiani antifascisti».
L’incontro, infine, ha visto la presenza anche dell’assessore Rocco Mangini e del consigliere regionale Domenico Damascelli, che ha proposto l’intitolazione ai martiri delle foibe per una strada bitontina.