Un anno e mezzo fa, Bitonto si risvegliò bruscamente da uno strano torpore che durava da decenni. Una livida mattina di dicembre, al tramontar del 2017, una signora fu vittima di uno scontro a fuoco fra rappresentanti di due clan avversi. Da una colpevole nebbia ignara, cominciò a stagliarsi nitida la parola “mafia”. Sì, avete letto bene: mafia. Da definizione, “una qualsiasi organizzazione criminale retta dall’omertà e regolata da riti, legami familiari e percorsi iniziatici peculiari che ciascun appartenente, detto affiliato, è tenuto a rispettare”. Improvvisamente, colpiti da pubblica, nazionale ignominia ci accorgeremmo che c’erano gruppi criminali con tutte le articolazioni che li contraddistinguono: dal narcotrafficante fino al piccolo pusher, passando per i killer con tanto di cerimoniali di affiliazione (documentati da paginate di agghiaccianti intercettazioni). Già, per lo stupore di mille anime candide si scoprì che la nostra città poteva vantare più piazze di spaccio del capoluogo, che esistevano bassi nel centro storico adibiti a centrali operative, con tanto di telecamere, persino in un civettuolo presepe sospeso fra due palazzi in via San Luca. Cominciarono a fioccare arresti e operazioni di polizia a tambur battente, che scorperchiarono un autentico vaso di merda. Esatto, proprio come Peppino Impastato definiva la mafia. Ci rendemmo del motivo per cui la culla degli ulivi fosse famosa ovunque come l’Amsterdam della Puglia e che tutto il giro fosse gestito addirittura da boss. Sempre, mafiosamente i criminali festeggiarono l’anno nuovo sparando fuochi d’artificio dinanzi alla chiesa in cui era vegliata la salma della povera donna. E, per chi dovesse avanzare il giusto dubbio sulla natura della mafia e sul concetto di mentalità mafiosa, sappiate che pure noi sappiamo che ne esiste anche una in giacca e cravatta e che dalla collusione con quella che si sporca le mani trae pure linfa vitale. Comunque, i cento uomini delle diverse forze dell’ordine misero a ferro e fuoco la città – leggansi indagini, manette, processi, sentenze – e gli effetti si notarono. I nostri malavitosi pare furono costretti a delocalizzare la loro malfamata impresa. In qualche caso, i cittadini presero coraggio, si sgrommarono di dosso l’asfissiante manto omertoso e provarono persino a collaborare con gli uomini in divisa. Sembrava l’alba di un giorno migliore, e invece…
Oggi, che tutto sembra bello, felice e sereno, ci chiediamo: ma davvero è finito lo spaccio di sostanze stupefacenti? Può essere vero che si siano dissolti i clan criminali? Sì, quei bellimbusti che vediamo in azione per cedere droga anche a figli di buona famiglia sono altrettanti monumenti al fancazzismo o continuano ad essere pregiudicati in azione? La mafia realmente non esiste più? Topi d’appartamento e d’auto sono scomparsi? In pensione sono andati tutti coloro che esigono il “pizzo”? Ecco, se a queste domande qualcuno saprà darci una risposta rassicurante, anche noi saremo felici di questo rinnovato torpore che ci sta avvolgendo…