Lo diciamo in premessa per fugare qualsiasi dubbio: ci sembra molto difficile che la Scuola Italiana nei prossimi anni possa fare un qualche salto di qualità. E lo diciamo con amarezza e dispiacere a differenza di molti commentatori ed opinionisti ai quali, invece, la stessa affermazione procura una sensazione di compiacimento. A confermare la nostra ipotesi ci sono un paio di fattori molto importanti. In primis, la sempre più scarsa motivazione di chi la frequenta, la scuola, dalla materna alla secondaria e forse anche all’università (che sempre scuola è…). Nei decenni scorsi bambini e ragazzi volevano (frequentare, imparare, studiare), oggi non sono interessati (a frequentare, imparare, studiare) per ragioni, la cui analisi lasciamo ad altri. Questa scarsa motivazione dell’alunno implica due conseguenze: 1) troppo spesso si sbaglia strategia didattica per rimediare; 2) l’atteggiamento disinteressato del discente diventa un alibi per il docente. Il quale, è questo il secondo importante fattore, arrendendosi di fronte a tale disinteresse, abbandona pian piano il suo ruolo di maestro preferendogli quello di guida o di psicologo o di tutor o di intrattenitore e via dicendo senza però averne i titoli né l’esperienza. Del resto, essere ‘maestri’ nel processo dell’apprendimento significa trasmettere, per prima cosa, conoscenze e, poi, valutare competenze. Il che ormai avviene sempre meno in una scuola che affoga nei progetti ed in altre attività extra e parascolastiche non sempre chiare. Ai due fattori suddetti (il disinteresse dell’alunno per l’apprendimento scolastico e la modesta motivazione del docente per il suo ruolo di maestro), poi, se ne aggiunge un terzo, la famiglia, che ha rinunziato ad educare per delegare alla scuola la sua funzione primaria: fornire ed affermare un modello educativo per il bambino, che, proprio in famiglia, impara a rispettare (gli altri, le cose, i valori). Questi tre fattori (il disinteresse dell’alunno per l’apprendimento scolastico, la modesta motivazione del docente per il suo ruolo di maestro, l’allontanamento della famiglia dal suo et ruolo primario) confermano che si è molto indebolita la funzione trainante della scuola come motore sociale e culturale, lasciandole il compito di sviluppare più che altro competenze tecnologiche. Che, certo, sono utili per l’inserimento nel mondo del lavoro ma, soprattutto, servono a spianare la strada ad una tecnocrazia, destinata a sostituire nel tempo la nostra (malandata?) democrazia. In questa prospettiva un po’ inquietante si spiegano i massicci interventi finanziati dal PNRR, che spesso svuotano l’attività didattica dei suoi contenuti, utili per capire come evolve il mondo, e li sostituiscono con le competenze, utili a eseguire direttive impartite dall’alto. Insomma, insegnare ed imparare a capire, oggi, sono progressivamente sostituiti da trasmettere ed apprendere in maniera spesso acritica. In conclusione, con un ruolo così cambiato e ridimensionato, non crediamo che la scuola possa tornare ad essere elemento trainante all’interno della società, come promesso da molti osservatori ed esperti negli ultimi decenni. Tutt’al piú essa può accomodarsi al traino. Come un fanalino di coda.