DI DAMIANO MAGGIO, SOCIOLOGO
È vero che la criminalità minorile è in crescita? Da una consultazione attenta delle varie fonti ufficiali (Istat, Ministero dell’Interno, Dia, Antigone, report e statistiche) si arriva alla conclusione che negli ultimi anni non è solo la quantità, ma è soprattutto la qualità della devianza minorile a essere cambiata.
Il tutto è esploso dal 2021 (dopo la pausa Covid), periodo dal quale si può notare un costante aumento delle infrazioni (risse, lesioni, percosse e furti) anche se il numero delle denunce, sappiamo bene, non sempre corrisponde al numero di reati effettivi. Ma altri fattori, pur più sociologici, sono evidenti. Nelle periferie si sconta l’aumento del costo della vita, la privatizzazione di alcuni servizi pubblici, una maggior difficoltà a fruire di servizi che trasformano in «privilegiati» gli abitanti del centro agli occhi di chi pensa di avere ingiustamente meno di altri.
Non tutto questo è esaustivo ma basta a spiegare che qualcosa, e subito, va fatto: non, mentre brucia la casa, un blaterato «controllo sociale» o una chimerica «assistenza», non la scuola che non è uno strumento di polizia, non i genitori qualche volta irresponsabili, talvolta complici. Gli idranti, mentre brucia la casa, vanno diretti in direzione degli status che la devianza giovanile persegue: il ritiro dei cellulari, l’interdizione dal frequentare zone in cui il crimine faccia appunto «status», o altre zone appetibili per la micro-criminalità in quanto centrali, o addirittura palestra di apprendistato per scippi e risse e vandalismi.
L’azione va diretta verso quei troppi disgraziati genitori che non mandano nemmeno i figli alla scuola dell’obbligo, accusabili di «elusione» o addirittura «elusione assoluta» nel caso la prole non risulti neppure iscritta a scuola. Questo era l’intento del Decreto Caivano, che è molto più di niente e di cui valuteremo i risultati a breve. Esso parte dalla constatazione che i giovani di oggi sono pienamente consapevoli delle loro azioni. Si può essere anche d’accordo, gli interventi punitivi, però, non possono bastare.
È necessaria un’adeguata opera di educazione, distribuita e applicata in diversi ambiti: familiare, scolastico e mediatico; occorre orientare i giovani alla cultura della legalità e favorire la loro partecipazione all’interno della società civile. È il loro reale e fattivo coinvolgimento che va supportato: nulla di già predisposto o “calato dall’alto”, ma un serio lavoro di ascolto, vicinanza, possibilità di “pensare e fare insieme”.
A tale scopo vanno ulteriormente potenziate, determinate iniziative, tra cui:
• attività di aggregazione negli orari extra scolastici: allo stato sono pochissime, quasi inesistenti;
• percorsi di educazione all’uso corretto dei social, meglio accolti se viene utilizzata la metodologia della peer education;
• realizzazione di laboratori volti a promuovere la conoscenza delle regole e dei valori sociali, ovvero la tanto bistrattata educazione civica, che se organizzati con i rappresentanti dell’amministrazione comunale, sarebbero di vero impatto oltre che un segnale di vicinanza;
• interventi di mediazione familiare e di supporto ai genitori, che tanto hanno bisogno di conoscere strumenti e di essere supportati;
Qualcuno (forse) potrà obiettare che sono attività che già si fanno. Se è così, allora si fanno male, risponderei.