Ciao Nicola,
appena ho saputo del tuo Volo, mi è subito venuta in mente la cornice che racchiudeva quella foto che mi aveva tanto colpito e cha ha segnato l’inizio del nostro incontro.
Tu e Teresa sorridevate contenti circondati da scenografiche peonie, i suoi fiori preferiti.
Mi sono poi domandata a cosa assomigli un sorriso quando si tinge d’infinito e quanto lunghe possano diventare le braccia che si rincorrono dopo lungo tempo per stringersi in un fortissimo abbraccio.
Sicuramente la brina vetrificata si è sciolta, il sole ha smesso di defilarsi e gli spazi aperti dei giorni sono divenuti immensi, talmente immensi da far brillare l’amore che mi ha strappato più di una lacrima mentre leggevo le tue poesie commuovendomi.
Ogni volta che incrociavo il tuo sguardo, sussurrava parole dolenti e forti al contempo, perché avevi imparato a resistere all’assenza, vero, Nicola?
“Alla fine porterò con me/ le lacrime che si sciolsero/ ai ricordi del nostro vissuto…/ e sarà come rivederti nel tuo splendore dopo un lungo periodo d’assenza.”
Quale grande testamento d’appartenenza mi/ci hai lasciato!
La cova d’aurora era la culla d’ogni tuo pensiero d’amore nello splendore della memoria nel giubilo di un vento ora caro, ora sferzante, che parlava di magia del trono domestico e accompagnava le parole con canti di lodi della terra, ruvida, tenebrosa, silente, macchiata di grano, germinante, animata, frusciante di aromi, speziata di primavera e onusta d’inverno.
Tu mi hai insegnato che gli alberi non sono mai abbastanza spogli quando sono irrisi dal vento, se poi soffia tra i rami una presenza a cadenzare i ritmi di vita.
Mi hai fatto scoprire che l’alba può anche giocare nel tintinnio delle pentole e condurre sottobraccio al paese del cuore, dove il vociare dell’essere è una pennellata d’approssimante azzurro.
Ho imparato nei tuoi versi che nella vigna devastata dall’arsura dell’assenza si può rigenerare soffice rugiada ascoltando il vento in ginocchio, quando si cristallizza la verità nel sudario del quotidiano.
Caro Nicola, ora avranno cuore di rondine le vostre ore insieme e più non sosterà ai margini il filo rosso di pagine di diario levigate d’amarezza e solitudine.
“Il tuo ricordo è più forte delle nera onda/che ha sommerso il tuo fragile stelo” rammentavi nella poesia “LA VITA… CONTINUA” insegnando a noi giovani che risale sempre il respiro nel profumo delle impronte e che l’ala di un Volto può pulsare sempre, pur a clessidra rovesciata.
Come quando le lettere d’amore si assiepano sul davanzale del cuore e scorrono palpitanti, terra fertile al suono soave della pioggia.
Pur riservato, eri un libro aperto a chi cercava tra le rughe profonde l’aratro del cuore che sapeva seminare bellezza intorno, nel dono incorruttibile della Vita, nel troncamento di un anelito a mappare gli occhi, filigrane di grazia e radiosa certezza.
Ora che hai levato anche tu le ancore della tua vita, più non avrai le coordinate del crepuscolo a graffiare l’aria, ma sarai preghiera di felicità, pulsando in azzurri orizzonti e distesi prati inerbiti, gli stessi che sapevi immaginare e tradurre in desideri.
Mi resteranno dentro come porti millenari le certezze che hai saputo donarmi, invito a tessere primavera anche dietro gli strascichi dell’inverno, anche tra fiotti di pioggia volti a rompere l’indugio di un opaco silenzio.
Grazie, mille grazie, Alfabetiere di luce fragrante e Ceppo di vivido ulivo, Forza esogena d’una dolce rinascita!
Grazie, mille grazie, Penna raffinata d’un intenso segmento! Sicuramente, come dicevi tu, “il credito d’affetto va oltre la soglia dell’eternità”, oltre i vaticini di cumuli di foglie.
Rimbalzi da lassù il solfeggio impalpabile della tua voce, maturando in ogni soliloquio l’eco articolato di remote lontananze.
E non c’è mai deriva nel guscio disteso di un cuore innamorato!