Domenica 11 febbraio sarà celebrata la Giornata Mondiale del Malato, la ricorrenza istituita nel 1992 da papa Giovanni Paolo II, per porre l’attenzione sui malati e su come affrontare le loro sofferenze. In occasione della Giornata, il programma di informazione religiosa “A sua immagina” ha scelto l’Hospice “Aurelio Marena” come esempio di struttura attenta alle esigenze dei malati, nello specifico quelli terminali. Ieri mattina, la troupe guidata da Roberto Fittipaldi e Barbara Borgiotti ha visitato l’hospice per intervistare pazienti e personale e realizzare il servizio che andrà in onda domenica prossima dalle 10.30 alle 11 su Rai1. La struttura, collegata alla Fondazione Santi Medici, è stata scelta proprio per l’attenzione che, da dieci anni, rivolge a quei pazienti giunti ormai alla fase finale della propria vita, la cui malattia non prevede una guarigione.
Sul tema si è recentemente discusso con la recente approvazione della legge sul testamento biologico. Ma quale è, per chi lavora quotidianamente con i malati terminali, l’importanza di accudirli negli ultimi giorni di vita?
«È importante per noi accompagnare il paziente in maniera dignitosa verso la morte, condividere con lui i suoi ultimi momenti, dare vita ai suoi ultimi giorni. Lo facciamo attraverso le cure palliative, che si collocano a metà tra l’eutanasia, a cui noi, da cattolici, siamo contrari, e l’accanimento terapeutico, che si ha quando non vogliamo lasciar andare il nostro caro. Dobbiamo invece riconoscere quando è giunto il momento di dirsi addio, di lasciarlo andare» spiega la dottoressa Anna Cannone, direttrice della struttura.
Dello stesso parere Giovanni Vacca, direttore generale della Fondazione Santi Medici, che spiega che il compito della struttura è considerare la vita importante anche verso la sua fine, quando la medicina dichiara che non c’è più nulla da fare: «Anche in quel caso, invece, c’è ancora tanto da fare per alleviare le sofferenze, per dare sollievo».
«L’accanimento terapeutico si ha quando la medicina non è sincera con se stessa, quando, in preda a delirio di onnipotenza, è convinta che c’è sempre qualcosa da fare, quando non riconosce i propri limiti» continua, ribadendo che, al di là della legge sul testamento biologico, le cure palliative sono già una risposta alle esigenze del paziente.