G.T. e’ una
ragazza di ventisei anni. Vive a Tirana. Ha un sorriso largo, occhi lievi,
all’insù. Veste un soprabito bianco, ricorda le dame del secolo scorso. I
capelli sono legati con una spilla bianca. Le dita lunghe delle sue mani, ben
curate, continuano a intrecciarsi senza sosta.
“Possiamo parlare anche in italiano, amo
il vostro Paese. In Italia non ci sono mai stata, ma mi piacerebbe molto, un
giorno…” – e lo sguardo delicato,
sognante, sembra sincero. Il tavolo del bar e’ stretto, piccolo, sottile.
Piazza Scanderberg, teatro dell’incontro, e’ grigia, piena d’acqua. Il cielo e’
nero, si intravede dal colonnato dell’Opera.
La rapidità
con cui G.T., ventisei anni, di Tirana, racconta la sua storia disarma. “Come si dice, droga, drogato. No, scusa, si
drogava. E beveva. Ecco, sì, il mio ragazzo. Ci incontravamo e, all’improvviso,
mi malmenava”.
Le domande
da rivolgerle sono tante, anche se talvolta appaiono piccole, al cospetto delle
sue parole giganti. “Cosa hai fatto? Lo hai lasciato? Sei scappata? Lo hai
denunciato? Hai raccontato a qualcuno delle violenze?”. Le sue parole anticipano
i quesiti. E un silenzio partecipe le accoglie.
E lei, così,
continua: “All’inizio lui piangeva, si
pentiva, chiedeva scusa. Ho confessato tutto a mia madre, che mi ha detto, però,
che non avrei dovuto lasciarlo. Questo e’ il problema del mio Paese. Le
tradizioni. Le tradizioni sono importanti, certo, ma a volte sono pericolose.
Gli uomini le difendono, quando non hanno la forza di capire i rischi che
nascondono”.
G.T. parla e
sorride. Sorseggia un cafe filter, molto lungo, che ha addolcito con un po’ di
miele. Poi, quasi a voler nascondere la sua tensione, sfiora gli angoli delle
labbra con la punta delle sue dita. Il gesto e’ dolce, ricco di innocenza.
“Il giorno peggiore e’ stato circa sei
mesi fa. Sono arrivata tardi a un appuntamento e lui era già nervoso. Problemi
sul lavoro, mi diceva, e in auto giravamo in lungo e in largo per la Capitale.
Io ero spaventata. Lui ha fermato la macchina in una zona periferica. Ha
cominciato a baciarmi. Io mi sono fermata, ero molto tesa. Subito dopo averglielo
detto, il buio. Mi ha massacrata”.
Una volta a
casa, il volto livido, ferito ha disintegrato in un colpo solo le tradizioni di
sua madre, le norme non scritte di una cultura che poco ha a che fare con gli
Stati e molto con le persone. Il resto del racconto, la separazione e la
denuncia, fila via con leggerezza, con pacata distensione.
G.T. e’
pronta. L’incontro con le altre donne vittime di violenza sta per cominciare.
Sono mesi che, senza sosta, partecipa a dibattiti, incontri, racconta e
condivide la sua storia. Il bar e’ alle spalle e, davanti, le immagini
sfreccianti del citycenter. Che adesso sono ovattate, come nuvole gonfie. In un
cielo che, però, da qualche parte, nasconde ancora e sempre il sole.