Italsider, Ilva, Arcelor Mittal. Tre nomi diversi per indicare la stessa acciaieria.
Tre nomi che segnano la storia di una città, di una regione, di un Paese.
Si, perchè quello dell’ex Ilva di Taranto, è un argomento complesso, di cui pur sentendo quotidianamente aggiornamenti in tv, fatichiamo a capirne davvero tutto quel che ha comportato e comporta. È complesso, perchè complessa è la vicenda in cui si colloca, toccando vari aspetti (da quello economico a quello politico, da quello sociale a quello ambientale) della storia di Taranto, della Puglia, dell’Italia e dell’Europa.
È complesso perchè ci sono in ballo diritti entrambi fondamentali per l’uomo, ma che le circostanze hanno posto su piani contrapposti, quello alla salute e quello al lavoro.
È complesso perché, nonostante oggi faccia venire in mente, spesso, concetti negativi, come malattia, morte, ricatto occupazionale, un tempo il siderurgico pugliese venne salutato come un’iniezione di sangue, un’esplosione di forza, una carica di vita, la fine dell’invidia verso “quelli del nord, con i macchinoni targati Torino e Milano“, un rimedio contro l’immobilismo degli ulivi lì dai tempi di Platone e Archimede, un immobilismo che significava, per la narrazione dell’epoca, morte, miseria, desolazione, sonnolenza.
E così, dal sogno dello sviluppo di una terra del Sud, si è passati ad un incubo per l’economia e la salute di tutti.
Ma un altro modello, un’altra idea di produzione, lavoro, salute è possibile?
Se ne parlerà domani, alle 18.30, nella nuova sede dell’associazione Left, in via Giacomo Leopardi 65. Il giornalista Michele Cotugno dialogherà con Salvatore Romeo, autore del libro “L’acciaio in fumo. L’Ilva di Taranto dal 1945 ad oggi” e con Michele Capriati, docente di Politica Economica all’Università di Bari.