La cosa più vera di questa crisi è che ci ha portato via il sorriso.
Ci inganniamo pensando che tutto vada bene.
Perché la gente esce.
Continua ad uscire, a prendere da bere, a prenotare in pizzeria e vediamo i locali pieni, le attività commerciali nuove, belle, fighe, ben arredate, ci stupiamo per i bagni retrò in cui passeremo ore.
Dentro a spendere ci sono i figli della “Bitonto bene” che ancora riescono a pretendere 50 euro di paghetta alla settimana, ci sono i trenta -trentacinquenni laureati, avvocati e ganzi (che stanno imparando il mestiere da qualche vecchio conoscente), ci sono i ragazzi che lavorano magari a nero, (anzi, soprattutto a nero) che si trascinano tirando a campare: nessun conto in posta, in banca, perché ciò che si guadagna ce lo si “fucila” subito.
La vita è qui, nell’hic et nunc.
I soldi serviranno per divertirsi e viaggiare. Viaggiare servirà per farsi foto nuove e metterle su Facebook (una, una, esce pure per il profilo).
Eppoi si torna a casa.
E i genitori manca poco che, di ‘sti tempi, siano lì con la calcolatrice. A fine mese non ci si arriva più. Il lavoro che manca e i meno fortunati staranno cercando come fare a mangiare il giorno dopo: quelli più timidi terranno il dolore tra i denti e non avranno nemmeno la forza di andare a chiedere il pacco viveri in chiesa o un aiuto ai servizi sociali.
Altri lotteranno con una casa che c’è e domani chissà.
Quelli un po’ più fortunati, che magari un lavoro ce l’hanno e hanno fatto una vita dignitosa fino a poco tempo fa, staranno cercando come mantenere tutto com’è.
Lo status quo: mettere insieme il pranzo con la cena, assicurare l’istruzione ai figli, limitare le spese extra al minimo ed eliminare gli svaghi.
I fortunati ci sono, certo. Magari lavorano entrambi, magari fanno una vita normale, magari sono pure generosi, di buon cuore, e alla prima occasione cercano di far bene nel loro piccolo.
Siete arrivati quasi alla fine pensando “Eh, la fiera dei luoghi comuni”. Ecciaveteragione.
Lo sanno tutti.
E tutti potremmo essere i “tipi” sopra descritti: tutti viviamo i segreti delle pareti delle nostre dimore (felici, meno felici o tristi che siano), tutti viviamo le calcolatrici dei nostri portafogli, tutti abbiamo una lacrima da asciugare, una carezza da fare quando ci verrebbe da spaccare tutto per la rabbia, tutti siamo intimamente provati dalla vita che ci scorre dentro.
Questo malinconico e inesorabile “panta rei” fa un po’ schifo però, l’acqua è diventata troppo torbida.
Il lavoro non c’è… e non c’è una colpa ben precisa però, cari quattro lettori, buon primo maggio.
È festa, in fin dei conti: ndò sta la dance hall?