Pare che il professor Giuseppe Conte abbia passato tutta la nottata a compulsare, nervoso non meno che preoccupato, il testo burocraticamente impervio dell’ultimo DPCM – acronimo ormai tanto familiare agli italiani quanto presago di disgrazie: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri vuol dire -. Non riusciva il premier, sconvolta persino la consueta impeccabile acconciatura, a trovare fra le motivazioni per chi può “evadere” di casa, in questo momento di quarantena nazionale che chissà quando finirà, oltre a quelle riguardanti le primarie necessità (lavoro, spesa e sanità), anche “r prvliuun”. Già, pare che gli sia arrivata voce di una vicenda singolare avvenuta in un ridente centro della sua Puglia. Ieri mattina, infatti, in una piazza semideserta, c’erano solo due vecchietti a ciarlare del più e del meno. Una pattuglia della Polizia locale, appena adocchiati i due pericolosi individui, ha accostato. I vigili, torvi anzichenò, si sono avvicinati ai due e, in rigorosa osservanza del benedetto DPCM hanno intimato loro di far ritorno alle rispettive magioni. Senza fare una piega né alterandosi un po’, con serafica pazienza uno ha spiegato esaustivo: “Ma ci ioi m n vog arreit a cheus, mgghierm ava doic: e semb nnanz a r prvliuun stei? Nan avast sair, pur la matoin?”. Gli uomini in divisa, forse compunti da medesima sorte comune, compreso l’elegante eufemismo caseario, inconsciamente avrebbero voluto dar ragione all’anziano signore. Poi, però, hanno ribadito l’invito a far ritorno alle rispettive dimore e così è stato. Legge e quarantena ossequiate, dunque, “provoloni” di moglie (metaforici, si spera) e marito (certamente frantumati) un po’ meno…