Capiamo come vivere a Roma, celebre “caput mundi”, o Milano, metropoli per antonomasia, possa sfasare un po’ il concetto di dimensioni delle cose, specie dei grandi agglomerati urbani, ci mancherebbe. Nulla quaestio.
Per di più, ritrovarsi a fare lo “psicologo del secondo“, come qualcuno definiva gli inviati, a caccia di scoop su un fatto che sta scatenando la pruderie di un’intera nazione, ammalata di gossip, facendoci assurgere ai disonori della cronaca, non doveva essere facile.
Però, definire Bitonto – com’è stato fatto da diversi giornali nazionali – un “borgo di neanche 50mila abitanti in provincia di Bari” ci sembra, prim’ancora che una inesattezza, un’offesa.
Già, perché, assodato che siamo in 53mila (e solo qualche tempo fa, sfioravamo i 60), anche solo muovendoci fra codici vari, scopriamo che: “La legge definisce i piccoli comuni, o borghi, come entità amministrative territoriali la cui popolazione non supera i 5.000 abitanti. Si tratta di una soglia demografica consolidata e successivamente adottata anche dall’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani)“.
E poi: “Il titolo di Città può essere concesso a Comuni, ai quali non sia stato già riconosciuto, insigni per ricordi e monumenti storici o per attuale importanza, purché abbiano provveduto lodevolmente a tutti i pubblici servizi e in particolar modo alla pubblica assistenza.
E può essere concesso con Decreto del presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno ai comuni insigni per ricordi, monumenti storici e per l’attuale importanza“.
Cosa che, qui, all’ombra del Torrione Angioino, pare essere avvenuta nel lontanissimo 1098 ad opera di Roberto figlio di Guglielmo.
In più, oltre a non essere un “borgo barese” – anche se le ultime “svendite” politiche hanno impoverito la gloriosa “Butuntum” -, assicuriamo i colleghi più insigni che in questo “paese di provincia” non si muore di “noia“, tutt’altro.
Al limite, sarebbe bello se noi bitontini fossimo sempre consapevoli della grandezza storico-artistico-culturale della nostra città…