Sotto la navata sterminata della Basilica dei Santi Medici, gremita da gente muta e sgomenta, tremavano le fiammelle dei ceri al soffio del vento mesto.
Dinanzi ai gradini dell’altare, c’era solissima la bara che custodirà per sempre il corpo senza vita di Paolo Caprio. Su di lui, volgeva uno sguardo pietoso Gesù, crocifisso duemila anni fa e ogni giorno dagli uomini.
Ho visto una giovane donna rannicchiarsi dentro l’anima e nascondere con le mani gli occhi pieni di lacrime.
Una ragazza, gomiti puntati sulle ginocchia, lasciava che le mani reggessero il mento mosso da singhiozzi disperati.
Un ragazzino con gli occhiali posava la fronte sulla breve mensola del banco ligneo davanti a sé.
Ogni loro gesto, pur straziato da una sofferenza senza fine, era avvolto dal silenzio di una enorme dignità.
Dopo aver esortato con energia le coscienze di tutti a cambiare, don Paolo ha levato in alto l’ostia, è arrivato il momento dell’Eucaristia.
Ecco, in quel preciso istante, mossa dalla forza misteriosa del cuore, mamma Renate, con passo dolente, si è avvicinata al feretro per la sua comunione col figlio. Con dolcezza sovrumana, il capo un poco recline, ha baciato con le dita e le labbra quel viso troppo suo ed ha sospirato parole d’amore eterno al suo piccolo.
“Preghiamo”, il sacerdote.
E lei, la madre, è tornata a sedersi con compostezza, non prima d’aver sfiorato quel legno troppo freddo.
Infine, gli amici a spalla hanno delicatamente poggiato Paolo nell’auto per l’ultimo viaggio, palloncini bianchi son volati nel cielo azzurro, fino a confondersi fra le nuvole.
Si è attardata una stella dorata ed è stato come se Paolo volesse restare ancora un po’ accanto ai suoi cari e sussurrare, soprattutto alla sua meraviglia Angelica: “Illuminerò il vostro cammino pure nelle notti più buie e non vi abbandonerò mai…”.