C’è una amara “lezione” nella fine dell’esperienza amministrativa della professoressa Rosa Calò al Comune di Bitonto, che non va lasciata cadere nel silenzio, travolta dal rutilante movimento della politica. Un “frullatore” che rischia di omologare tutto in un eterno e fibrillante presente, senza riflessione e senza memoria.
Rosa Calò era stata chiamata all’impegno di governo già nel 2013, nella prima giunta Abbaticchio, con l’incarico di vicesindaco, sì in rappresentanza del movimento di “Città Democratica” in cui militava, ma soprattutto in ragione delle sue riconosciute doti di serietà, rigore, onestà e servizio, più volte sottolineate ed apprezzate dallo stesso sindaco in pubbliche dichiarazioni.
La sua lunga militanza nel mondo scoutistico, oltre che dell’associazionismo solidale, non solo era un patrimonio di esperienze legate a temi emergenti come il mondo giovanile, la difesa dell’ambiente, la mobilità sostenibile e i beni culturali, ma costituiva anche uno strumento per “riconciliare” con la politica, mondi, persone e sensibilità che se ne erano allontanate non condividendone una deriva e una pratica lontane dal bene comune.
A riprova dell’apprezzamento per l’azione amministrativa svolta dalla Calò, era arrivato il largo consenso, oltre 700 voti, nella tornata elettorale del 2017. La conferma di come il lavoro, svolto con serietà e competenza, più nel silenzio di un ufficio che sotto le luci della ribalta, riesca ad essere poi riconosciuto e premiato da settori dell’opinione pubblica non distratti dalla propaganda.
Oggi la città è privata di questa preziosa risorsa di governo perché, ancora una volta, la politica deve piegarsi alla ferrea e ineludibile logica del “Manuale Cencelli”, che distribuisce gli incarichi in base al peso elettorale di ogni forza politica di maggioranza, specie alla vigilia di una importante scadenza come quella delle elezioni regionali.
A sopravanzare il merito della Calò nella sua azione amministrativa è stata dunque la “colpa” di non rappresentare nessun partito. Sembra di riascoltare alcuni versi di una vecchia canzone del cantautore Edoardo Bennato, intitolata “Venderò,” in cui il protagonista mette in guardia il suo amico dicendogli “…stai attento/che resti fuori dal gioco/ se non hai niente da offrire al mercato…”
Forse la professoressa Calò non aveva più niente da offrire ad una politica che stenta ad affrancarsi da vecchie logiche, anche perché non aveva voluto seguire l’attuale consigliere comunale Francesco Brandi (dopo la conclusione dell’esperienza di “Città Democratica) nella decisione di aderire al Pd. Una scelta che ha riservato disillusione ed amarezza allo stesso Brandi, che ha visto ben presto sfiorire il sogno di una nuova primavera politica bitontina nei “resti” di quello che fu il principale partito del fronte progressista.
E siccome il destino sa essere beffardo, anche o soprattutto in politica, questa vicenda si consuma e si intreccia con quella dello stesso PD che, in pratica, ha ricevuto l’ingiunzione di sfratto dalla storica sede di corso Vittorio Emanuele. Rosa Calò è stata congedata e rimandata a casa mentre il PD rischia di non averne più una.
Si dice che le crisi siano opportunità travestite da problemi. C’è una classe politica a Bitonto che ha ottenuto importanti riconoscimenti istituzionali dalla militanza a sinistra. Adesso è il momento di avere cuore e memoria. Non per difendere un edificio ma, possibilmente, una storia. Il prezzo da pagare per la pigione della “pschèur” è, a ben vedere, quello per riscattare una certa idea di politica. Chissà se sarà battuto un colpo in questo assordante silenzio.