(di Donato Rossiello, Nico Fano)
Ci siamo! Negli Stati Uniti, il prossimo 3 novembre si terranno le elezioni presidenziali. Alla guida della Casa Bianca si riconfermerà il repubblicano Donald Trump o avrà la meglio il democratico Joe Biden? Tra l’altro, si aggiungono le votazioni per la Camera dei Rappresentanti e per il Senato. E godere della maggioranza nei due rami del Congresso agevolerebbe non poco il compito del Presidente.
Non possiamo celare il nostro interesse per l’evento in questione, ritenuto cruciale per i mercati. La figura del Presidente è, infatti, potenzialmente in grado di influenzare l’andamento dell’economia USA e di conseguenza Wall Street anche per anni dal suo insediamento.
Come funziona il sistema elettorale americano? I cittadini dei singoli Stati non eleggono direttamente il Presidente ma i cosiddetti Grandi Elettori, i quali andranno poi ad esprimere la scelta effettiva. I “GE” sono in totale 538. Ogni Stato ne elegge un numero variabile – non meno di 2 – in base alla popolazione. Il candidato che ottiene anche un solo voto in più rispetto al contendente si aggiudica tutti i GE dello Stato in questione (tranne Nebraska e Maine che li attribuiscono con un sistema proporzionale). L’esito finale si ottiene con 270 preferenze.
Di solito a decidere il vincitore dello scontro sono gli “swing states”, ovvero quelli in cui nessuna delle due fazioni ha un sostegno predominante e si gioca tutto su una manciata di voti. Tradizionalmente gli Stati con più GE non sono contendibili (per esempio la California ha 55 GE ed è un solido baluardo democratico).
Causa timori da emergenza Covid-19, quest’anno si incrementerà il già diffuso ricorso al voto postale.
In termini di programmi, le aree più rilevanti a livello economico sono tre: fisco, commercio internazionale e clima. Trump punta a stabilizzare gli sgravi fiscali realizzati in deficit, senza copertura di bilancio e in scadenza nel 2027, grazie ai quali c’è stata una straordinaria ascesa di Wall Street (circa +60% dell’S&P500); i democratici sottolineano il peggioramento dei conti pubblici e le disuguaglianze sociali, pertanto propongono di riportare la corporate tax dal 21 al 28% e l’aliquota IRPEF massima al 39,6%.
Tiene banco il rapporto con la Cina e si dovrà scegliere se proseguire con un approccio bellicoso o ripristinare un multilateralismo diplomatico.
Trump continua a negare i cambiamenti climatici mentre Biden vorrebbe riabbracciare l’Accordo di Parigi.
Tra le combinazioni su cui stanno ragionando i mercati c’è quella ritenuta poco probabile dai bookmaker (tra il 5 e 10%), ossia la riconferma repubblicana alla Presidenza e al Senato con la conquista della Camera; in tal caso è possibile l’innalzamento dell’asprezza con Cina ed Europa, una prospettiva premiante per la corporate America nel breve periodo, ma che arriverebbe al prolungato protezionismo con scenari inediti. Decisamente in vantaggio (tra il 20 e 30%) l’ipotesi di un Biden che ottenga la Presidenza e i democratici finiscano sia alla Camera che al Senato; i mercati, da subito, potrebbero non gradire l’aumento di alcune tasse ma apprezzerebbero i miliardi previsti in favore di istruzione, health care e infrastrutture.
In definitiva, Donald Trump viene considerato un “amico” dei mercati e Joe Biden offre un approccio più rassicurante nonché molti miliardi di dollari. Chiunque dovesse vincere, in fin dei conti, sarebbe ben accolto dalle Borse!
Allora chiudiamo con una provocazione… Sicuri che il Presidente degli Stati Uniti d’America conti qualcosa?