(di Donato Rossiello, Nico Fano)
I dati in ambito macroeconomico pubblicati nell’ultimo periodo hanno sorpreso al rialzo, negli Stati Uniti ma soprattutto in Europa. L’impatto dell’inflazione e la stretta monetaria sono stati in parte controbilanciati dalla resilienza del settore privato nonché dal progressivo allentamento degli shock post-pandemici sul fronte dell’offerta. Al contempo le pressioni inflazionistiche stanno iniziando a mostrare segnali più concreti di attenuazione, prospettando quindi un ammorbidimento delle politiche adottate dalle Banche Centrali.
Durante il terzo trimestre la crescita del PIL nell’Eurozona risulta ancora positiva e superiore alle attese (+0,2%); un andamento particolarmente buono per Germania (da +0,3% a +0,4%), per il contributo oltre le aspettative dei consumi privati o degli investimenti fissi. Persino meglio fa l’Italia con +0,5% (stime allo 0%). Questo dimostra l’elevata capacità di risposta dell’economia europea alla crisi energetica e al rialzo dei tassi, merito della liquidità accumulata in pandemia, unita al buon andamento del mercato del lavoro e ai supporti fiscali governativi.
È interessante riflettere sugli indici per loro natura anticipatori del ciclo economico, come quelli relativi al sentiment di imprese e consumatori. Ad esempio il PMI manifatturiero di novembre, pur restando sotto la soglia di espansione, segna il primo piccolo progresso da gennaio. Salgono poi i sottoindici legati ai nuovi ordini e alla produzione futura. Si scorgono ulteriori miglioramenti dei vincoli sul lato dell’offerta, accorciandosi i tempi di consegna da parte dei fornitori e alleggerendosi le pressioni sui prezzi. Dal recente picco sono diminuiti i costi energetici, scongiurando il rischio di razionamento del gas per l’inverno corrente.
Torniamo all’inflazione… Il mese scorso – per la prima volta da un anno e mezzo – è scesa, al 10% dopo il picco di 10,6%. Il rallentamento più incisivo è avvenuto in Germania e Spagna, marginalmente da noi (12,5% dal 12,6% di ottobre).
Oltreoceano appaiono finora indeboliti il settore immobiliare (contratto da mesi di incrementi dei tassi) e la produzione industriale (vedasi la discesa degli indici di fiducia delle imprese manifatturiere). Tuttavia crescono gli ordini di beni durevoli, le vendite al dettaglio e si attenuano gli squilibri nelle catene di fornitura.
Le proiezioni sul CPI USA superano le aspettative d’inflazione, passando dall’8,2% di settembre al 7,7% di ottobre.
La Banche Centrali stanno mitigando la propria retorica, eppure sembra prematuro parlare di un effettivo cambio di rotta monetario. Si attende il sospirato “pivot”. Dai recenti verbali Federal Reserve emerge la propensione di numerosi componenti del FOMC a rallentare il ritmo dei rialzi. E nel Vecchio Continente, come segnalato da Christine Lagarde e dagli altri membri del Comitato Esecutivo della BCE, si ritiene necessario mantenere alta la guardia, sebbene a dicembre potrebbe inaugurarsi la fase meno aggressiva di interventi. Prudenza.
A termine di questo 2022 si riesce a intravedere uno scenario costruttivo per il 2023, per quanto molto incerto. Le attuali previsioni dell’OCSE prospettano una crescita globale in rallentamento dal 3,1% di quest’anno al 2,2% stimato per il prossimo, ma ancora positiva in quasi tutte le principali aree geografiche.