Il senso di una mattinata terribile per tutta la comunità (già, perché ieri, lì, nella basilica Santi Medici, era Bitonto a essere presente al di là dei singoli e dei tantissimi presenti) ha provato a darlo, come sempre con le parole giuste, don Gianni Giusto, il vicario episcopale territoriale di Bitonto-Palo. “C’è un grido che ci portiamo dentro: non è giusto. Morire di lavoro, e a 23 non è giusto. C’è un senso ha tutto questo?”
La risposta, purtroppo, è negativa. Un senso non esiste, e se mai esistesse, chi può davvero spiegarlo? Quale senso può dare la famiglia di Michele scomparso così, mentre era a lavoro? Quale giustificazione? Come si può dare un minimo significato a una morte incomprensibile come quella che è toccata a un nostro giovanissimo figlio? Nulla ha un perché. E ti trovi, ancora una volta a chiederti, come ha già fatto un sommo poeta qualche secolo fa, perché la Natura continua, molto spesso, a farsi beffe e a ingannarci in questo modo. E a impedire al nostro Michele di vedere realizzati i propri sogni, uno su tutto il voler essere carabiniere. E anche di spiccare il volo con entrambe le ali.
Tutto, però, era iniziato già qualche minuto prima. Perché trovare un posto a sedere nella chiesa dedicata ai santi Anargiri è impossibile già molti minuti prima dell’ultimo saluto a Michele, e tanti rimangono fuori. L’atmosfera è davvero pesante, e l’omelia di don Gianni Giusto ci fa riflettere fin dalle prime sillabe. “Se sia stata una tragica fatalità non è il momento per dirlo. Ma occorre ribadire che abbiamo il diritto di pregare e impegnarci affinché tragedie come queste non si ripetano. Non è questione solo di leggi e controlli, ma prima di tutto una questione di cultura di sicurezza, di umanità e dignità del lavoro che deve maturare in tutti. Attorno all’altare del signore siamo radunati con la stessa fede di Michele e della sua famiglia. Nella fede ci portiamo la nostra domanda: c’è un senso ha tutto questo? Il male non ha mai senso. Non è una decisione di Dio. Dio vittima anche egli di morte ingiusta, Dio è uno che fa sua la morte dei suoi figli in quei tre giorni di sepolcro e sconfiggendola ci dà la certezza che essa non ci dà l’ultima parola”.
Ed è ancora più doloroso perché “Michele era un buono che viveva di lavoro onesto, di allegria contagiosa, di amicizia pura, delle sue passioni, della voglia di vivere e crescere con il sogno di diventare carabiniere per portare bene e giustizia. Il suo nome significa forza di Dio. A Dio lo riconsegniamo come un tesoro ancora più prezioso perché arricchito dell’amore che ha ricevuto in vita”.
“Sono tante, immagini e ricordi e parole che invadono la nostra mente – è il messaggio, invece, dei familiari di Michele -. La domanda è perché non c’è un senso. Dobbiamo tentare di cercare una risposta nella misericordia di Dio. Ognuno di. Noi fa parte di un progetto divino. Il nostro cammino non può essere solo terreno e continuerà in un mondo perfetto. Dio lo bacerà e lo consolerà. Consolerà anche noi. Cercheremo la sua presenza, le sue parole e il suo sguardo. Michele sarà dappertutto in tutto quello che ci circonda. Il suo spirito incontrerà le nostre anime e nella fede ci donerà la serenità. Non amava tristezza e dolore che non avrebbe voluto dare alla sua famiglia. Adesso sei un angelo prenderci per mano e guidaci. Continueremo a vivere sapendo di riuscire a guardare oltre, oltre il dolore…con il tuo bellissimo sguardo”.
Già, quello sguardo innocente che ci accompagnerà – ne siamo certi – da oggi fino alla fine dei nostri giorni. Che ci sorveglierà e proteggerà. E ci inviterà ad andare avanti anche perché lui avrebbe voluto questo.
Sì, ne siamo sicuri: da lassù, Michele, sarà lampada per i nostri passi, e luce del nostro cammino.