DI DAMIANO MAGGIO, SOCIOLOGO
Quello che sta accadendo nella nostra città (atti di violenza, rabbia, disprezzo delle norme, aggressività e maleducazione) è un campanello d’allarme che non va per nulla ignorato. I dati ci dicono che si è abbassata l’età media dei ragazzini autori di reati gravi ma che non sono imputabili per età. Pare, si dice, che la pandemia abbia esacerbato dei disagi che erano già preesistenti nei ragazzi. Tutto vero, tutto scientificamente acclarato, ma fatta la teoria, adesso bisogna studiare il da farsi, definire le azioni pratiche, gli interventi da mettere in campo, e subito.
È una situazione che sta sfuggendo di mano e che avrà gravi ripercussioni nel brevissimo tempo, se non si deciderà di intervenire con un piano studiato ad hoc. Gli anni di esperienza non solo come studioso dei fenomeni sociali ma soprattutto come operatore di chi ci mette le proprio le mani, mi hanno insegnato una grande regola: “fai le domande giuste per ottenere risposte efficaci”. Per essere estremamente pragmatici, la prima domanda che pongo è: esistono spazi di aggregazione e luoghi di ascolto nella nostra città? Non che io sappia. Chi parla con questi ragazzi? Chi li ascolta? Quali sono i loro bisogni (oggi) ed i loro sogni (domani)? Per costruire spazi di ascolto reali è fondamentale innanzitutto favorire occasioni, luoghi, esperienze che non devono cadere dall’alto ma costruite insieme a loro, in termine tecnico “partecipate”. La Strategia dell’UE per la gioventù 2019-2027 identifica la partecipazione come uno dei principi guida che «dovrebbero essere applicati in tutte le politiche e attività riguardanti i giovani». L’assunto è che non è vero che i giovani non partecipano: lo fanno su canali, piattaforme, modalità diverse da quelle utilizzate fino al secolo scorso… I Forum, le Consulte, ecc., hanno oggi meno appeal, mentre forme di espressività giovanile (anche digitale), social network, protagonismo, rigenerazione urbana, sono canali con più appeal.
Fatta questa premessa, restando nel solco della pragmaticità, cosa si può fare? Ecco 3 semplici ma efficaci suggerimenti:
1. Diffondere sul territorio il maggior numero possibile di spazi giovanili, riusando i luoghi che già esistono, ad esempio aprendo le scuole il pomeriggio e anche la sera. Non altre opere pubbliche, ma “public house”, in grado anche di generare risorse sulla base di modelli economici ibridi, ma sostenibili.
2. Ascoltare i giovani e coinvolgerli sulle scelte che li riguardano. Questi ragazzi, come è già stato detto, sono poco interessati alle forme tradizionali di partecipazione: vanno allora prima di tutto ascoltati ed interpellati esattamente là dove sono (quindi anche su internet e sui social network), per portare loro le informazioni su argomenti su cui è importante che si esprimano, riconoscendo loro questo diritto. In poche parole, mettere in azione una funzione di ascolto attivo dell’universo giovanile, attraverso smart phone, con APP e messaggistica. Saranno poi i ragazzi e le ragazze a decidere se attivarsi o meno e richiedere le informazioni che individuano come rilevanti, sempre con la possibilità di un “coinvolgimento dal vivo”.
3. Promuovere percorsi di animazione socio educativa, fondati su un processo di “apprendimento non formale e informale” con professionisti specificamente formati (ci sono). Vanno incentivate professionalità in grado di lavorare con e per i giovani, operatori che sappiano ascoltare e stare con i ragazzi quotidianamente. Il cosi detto “lavoro in strada”, in progetti per sviluppare cittadinanza, integrazione, solidarietà ecc., cioè tutto ciò che avviene al di fuori da quanto è coperto dalle solite forme istituzionali.
La sfida dei prossimi mesi sarà quella di rafforzare e ricostruire alleanze educative, allargare le reti di collaborazione tra le istituzioni scolastiche, enti locali e terzo settore, con tutte le associazioni che operano sul territorio, centri sportivi, oratori, famiglie, ma anche realtà imprenditoriali (non dimentichiamoci il lavoro). Questo è lo strumento per sostenere le famiglie, combattere i fenomeni di devianza, la dispersione scolastica e per ricucire il tessuto sociale, rimettendo al centro la persona. Non sarà facile ma è tempo di aprire la via dell’ascolto e della prevenzione, se vogliamo davvero fare della nostra città, una città sana che investe nel proprio futuro.