Prima di scrivere un
articolo, è buona norma
informarsi, ricordare il vademecum deonotologico, certe volte contare fino a
tre, ma anche fino a cinque e perché no dieci, e poi – solo alla fine – cominciare a
srotolare tutte quelle parole che il buon senso, il talento, la cultura
personale e la follia creativa ti imporranno di scrivere: questa prassi può far sì che l’autore non debba poi affrontare critiche, insulti
o accuse. Bene. Uno, due e tre (quattro, cinque, sei, sette, otto, nove e
dieci).
Cominciamo.
Parliamo di quanto
accaduto nel “troiaio” di Rai 1, canale di Stato, giusto qualche giorno fa. Un
talk show che “costringeva” gli ascoltatori a cimentarsi con un’analisi sociale
di tutto rilievo: i motivi per i quali gli uomini italiani preferirebbero le
donne dell’Est alle donne italiane.
Una donna italiana a
condurre lo show, all’interno di un salotto nel quale opinionisti non da poco
(tra i quali l’eccelso Fabio Testi, una salma artistica traslata da tempi
remotissimi, e compiacenti biondine, appunto, dell’Est) si scambiavano delucidazioni
micragnose sullo scottante argomento.
Senza entrare
dettagliatamente nel merito delle tesi sostenute (giacché quel cosmo irregolare che è il web può fornire informazioni ben precise a riguardo) ricordiamo
solo che, secondo la rete ammiraglia dello stato italiano, poiché le donne dell’est non vestono pigiamoni in casa,
consentono ai loro mariti di comandare come dittatori socialisti tra le mura
domestiche, portandoli addirittura a festeggiare i loro compleanni in bordelli
e case d’appuntamento, e “non frignano” se i suddetti mariti impollinano altri
fiori, come api nel periodo più florido della loro catena esistenziale, è cosa buona e giusta sposarle.
Applausi. Per la
qualità, la delicatezza, l’analisi, le sfumature, il rispetto
mostrato verso tutti (indistintamente) gli attori di quella che, fino a prova
contraria, dovrebbe essere un’unione sentimentale tra un uomo e una donna.
Mentre scrivo, mia
moglie – lituana, di Kaunas, dell’Est – mi guarda vestita con un pigiama rosa, decorato
con dei cuoricini e dei rombi rossi, dopo aver gradito una cena splendidamente
italiana che abbiamo consumato nel piccolo appartamento in cui viviamo questi
primi meravigliosi tempi del nostro matrimonio, con un sorriso dolce e pieno di
compassione per quanto appena raccontato e spiegato.
Una moglie nata in
Lituania nei giorni in cui, nel suo Paese, il sangue scorreva a fiumi nelle
strade.
I ragazzi, gli
studenti, gli operai, i musicisti e i professori venivano calpestati dai
cingoli dei carriarmati di una Russia che, agli occhi sopiti dal benessere
intellettuale di uno Stato italiano corrotto e mafioso, appariva come la patria
di un socialismo puro e salvifico.
E tutto questo mentre
in Italia, peraltro, quella stessa generazione che oggi scrive questi raccapriccianti
copioni in Rai, fatta da ignoranti arricchitisi sui privilegi di uno stato
sociale ingordo e utilitarista, succhiava la linfa vitale a un Paese che, alle
generazioni future, ai loro stessi figli, avrebbe avuto da offrire solo
macerie.
Una moglie che, come
tante altre persone del suo stesso Paese, ha coltivato e coltiva il mito non
solo dell’Italia, ma anche della Spagna, della Francia, della Thailandia,
dell’Irlanda, della Nigeria, del Guatemala, e di tutti quei paesi che, per cinquant’anni, la condizione di
sottomissione al regime sovietico non aveva mai concesso di scoprire.
Ma questo non é l’articolo di una persona che si sente offesa. Né tantomeno un’ode non richiesta ad una donna che, le odi,
se le costruisce faticosamente ogni giorno, lavorando e credendo nei valori
(universali) della famiglia e del rispetto personale, del multiculturalismo,
dell’abbattimento delle barriere tra popoli e nazioni.
Questo è un articolo di critica, dura critica, nei confronti di
un paese, l’Italia, che non svecchia il
suo impianto umano e sociale. Che parla di temi dei quali ignora la portata, con
strumenti critici obsoleti e dettati da parametri appartenenti a una
generazione che è destinata a scomparire presto, quella dei nostri genitori, ancorata a privilegi
sociali e assistenziali, al benessere, al vizio e alla dipendenza dal nucleo
familiare dovuta a una mera esigenza di sopravvivenza.
Un paese destinato
alla disgregazione, consumato dagli stravizi di chi, nel sonno cieco del
proprio isolamento dorato, crede di essere ancora il centro del mondo, di
detenere chissà quale talento o
peggio ancora quale potere.
Questo articolo vuol dire ancora una volta che l’Italia, Paese
straordinario, è vittima degli italiani. E, benché con le sue spiagge, con il cibo, con i colori, con la
dolcezza delle persone, resti anche quel paradiso sognato ogni giorno da Ovest
a Est, da tutti i paesi del mondo, viene offesa e umiliata da chi invece
dovrebbe far tesoro di millenni di cultura incubata proprio nei nostri confini
e diffusa orgogliosamente in tutto il pianeta.
Un Paese sognato anche
qui, in questa fredda città lituana, da una ragazza in pigiama rosa, che continua a
rispettarlo come se fosse la sua stessa terra, perché ne ha sposato uno dei suoi figli, perché lo ha scoperto in tutte le sue meraviglie, parlando con
la gente, senza mai dimenticare o rinnegare certo le proprie origini.
Una ragazza che, anche
quando scopre di essere considerata – dalla Tv di stato italiana – in tono
sprezzante e discriminatorio, semplicemente e genericamente dell’Est, sorride.