DI DAMIANO MAGGIO, SOCIOLOGO
Nelle aziende come nelle città sono le persone a fare la differenza. L’azienda è una grande comunità di persone che ha dei piani e una visione del futuro. Lo stesso vale per la città, in cui i cittadini sono gli azionisti, quindi i proprietari, e il sindaco è l’amministratore delegato. La differenza è che l’azienda ha l’obiettivo di realizzare profitti, mentre la città – che pure dovrebbe adottare un’organizzazione analoga – si propone di fornire servizi ai cittadini. Amministrare una comunità significa ascoltare tutti e fare scelte, anche impopolari. Se in una città non si assumono le decisioni importanti e difficili, insorgono problemi e non si permette lo sviluppo economico che potrebbe essere generato dalle imprese, dagli artigiani e dalla società civile. Il consenso nasce dalla credibilità, che viene generata dai risultati, quindi dalle decisioni prese. Per governare la macchina comunale sono necessarie grandi doti di leadership e management. Il leader deve presentare una visione, mentre i manager devono indicare come raggiungere i risultati voluti con la maggiore efficienza e i minori costi possibili, disancorandosi dall’orizzonte temporale quinquennale. A fronte dell’aumento delle diseguaglianze e della povertà dovuto alla crisi economica per il Covid-19 prima, e dalle conseguenze della guerra in atto, bisogna ricordare che le città hanno “una loro anima ed un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietra”, come affermava Giorgio La Pira. Gli amministratori locali devono, quindi, impegnarsi per creare e distribuire ricchezza, favorendo le reti che possono essere di varia natura: da quelle di imprenditori che abbiano positive ricadute economiche e occupazionali, a quelle relazionali tra gli stessi cittadini che possono e anzi devono impegnarsi per il ben-essere e la qualità della vita della comunità. Nessuno escluso. Fatta questa doverosa cornice, mi viene da pensare che, nessuno ci pensa mai, ma vi è un gran bisogno di punti di riferimento. E di non sentirsi soli. Non mi sto riferendo ai cittadini (che in ogni caso ne avrebbero davvero tanto bisogno) ma in questo frangente la mia attenzione è rivolta alla solitudine del funzionario ed al dirigente che mette la sua firma su pratiche in un contesto non privo di elementi di ostilità, nella quasi totale assenza di chiare assunzioni di responsabilità del livello politico e di un supporto sistematico sugli aspetti amministrativi. Gli amministratori locali, oggi come oggi, si trovano in seria difficoltà di fronte alle inevitabili “perturbazioni” che insistono in un sistema complesso come quello del governo di una città. Proprio per questo prendono sempre più spazio esempi di amministrazione condivisa, fatta di tavoli tematici di discussione aperti ai portatori di interesse ma non solo, per progettare insieme (co-progettare) le priorità e le modalità da intraprendere. Agevolando gli iter ed abbassando la conflittualità. C’è davvero poco da fare, la complessità aumenta di giorno in giorno ed è da gestire. Così come c’è assoluto bisogno di qualcuno che lo sappia fare perché, di certo, ai tavoli di lavoro non può essere richiesto di sciogliere, grazie alla loro stessa esistenza ogni problema. Chi si detestava o non si fidava prima, continuerà a farlo anche seduto ad un tavolo di co-progettazione. I differenti linguaggi e approcci non si armonizzano da soli, la capacità a ragionare in termini di interessi generali non è affatto innata. Ma si impara. Le dinamiche virtuose non sono impossibili, ma richiedono tempo, pazienza, professionalità e determinazione da parte di chi li gestisce. Esserne consapevoli aiuta a guardare con serenità i problemi che, soprattutto in fase iniziale, possono verificarsi (ancor più se il contesto intorno è ancora acerbo). Mi piace concludere, riportando, a memoria di tutti, alcuni principi cardine ai quali un buon amministratore non può prescindere: – Gli amministratori lavorano per il benessere e lo sviluppo delle comunità locali. Si impegnano a dedicare la massima attenzione e ad aiutare chi ha più bisogno: chi precario, chi vittima della crisi, chi ha la famiglia numerosa, chi solo, chi debole. – Il buon amministratore sa che governare significa affrontare i problemi della comunità, sa che è meglio un’idea buona messa in pratica che un’idea ottima rimasta incompiuta. Chi amministra deve saper prendere decisioni anche scomode: l’impegno a fare ciò che è necessario viene prima dalla ricerca del consenso. – Serve trasparenza totale nei bilanci così che i cittadini sappiano esattamente come vengono spesi i soldi e perché. – Chi ha incarichi nell’amministrazione è legato ad un patto di onestà e trasparenza. Non compie atti che possono portargli interessi o guadagni, non favorisce nessuno. Mantiene con tutti gli interlocutori un rapporto di seria disponibilità. – E’ necessario dare spazio ai giovani preparati, meritevoli e disposti a crescere e a portare avanti idee e logiche nuove facendo squadra, sostenendosi a vicenda, dedicandosi alla formazione come modello di progresso della comunità. – Non si può amministrare senza una proficua collaborazione con la pubblica amministrazione, le parrocchie, le scuole, gli istituti di cultura, le organizzazioni di categoria e le associazioni. I buoni amministratori danno spazio ai luoghi di dibattito ed agli strumenti per acquisire una competenza sui problemi del territorio.