La turchia qualche giorno fa ha
corso il rischio di diventare un paese governato da un’autocrazia militare,
come l’egitto, ”tamen” per il “golpe militare” fallito s’è trasformata in una
teocrazia “in veloci itinere” con a capo un politico (?) che, all’apparenza e
non solo, non ha niente dell’islamico invasato; che, comunque, tenta di
apparire tale per costringere, plagiandoli, i milioni di islamici turchi a
farsi scranno del suo potere, ormai, senza confini, senza limiti verso la più
delinquenziale, hitleriana delle dittature.
Gli “states”, i paesi della “ue”,
l’italietta del putto renzi, prima hanno aspettato il finale della partita tra
erdogan e i militari golpisti e, poi, non dismettendo le classiche regole della
“realpolitik”, sono, letteralmente, saltati sul carro del vincitore, cioè, di
erdogan.
Prima di esaminare il rinnovato trasporto di obama e dei suoi sudditi
– sodali della “ue” nei riguardi di erdogan, è importante zumare il significato
di “realpolitik, in tedesco “politica concreta”, “reale”. Il fondamento,
infatti, della “realpolitik” è la “pragmaticità” che, spesso, non è direzionata
da Preludi Ideologici ed Etici. Nei rapporti internazionali, nella politica
estera la “realpolitik” ha la sua non
nobile epifania nelle scelte che i vari paesi adottano, non facendo riferimento
a Principi Etici, appunto, o Universali, ”sed” a questioni, di, mera, prosaica
praticità.
Sarà stato l’ex amico di erdogan, l’iman fathulla gulen, la mente
d’oltre atlantico del fallito golpe dei militari turchi; o sarà stato lo stesso
erdogan ad “autogolparsi”; o, pur essendo informato del” golpe” in arrivo
contro di lui (ipotesi che IO Prediligo), avrà lasciato fare, per, in seguito
ad un prevedibile fiasco di esso, dare inizio al suo “golpe” nei confronti delle
fragili istituzioni democratiche della turchia, al fine di realizzare la sua,
da tempo, agognata repubblica presidenziale, sempre più, islamizzata, è, inequivocabilmente,
certo che erdogan è, e lo sarà per molto tempo, ancora, colui che ha
determinato una svolta radicale nella struttura istituzionale e politica della
turchia: egli è la sua personale dittatura, come luigi xiv di borbone grugniva:
”L’Etat c’est moi!”.
Tanto per incominciare: ha sospeso la “Convenzione dei
Diritti Umani” nel paese; ha ordinato arresti e destituzioni in tutti i settori
(dalla magistratura, all’università, alla scuola, ad esempio)
dell’amministrazione e della società civile. Arresti e destituzioni, non in
maniera indiscriminata, come alcuni hanno ipotizzato, ché, evidentemente, data
la sicura celerità dei provvedimenti cautelari in carcere ed amministrativi,
erano già, da tempo, pronte le “liste di proscrizione” nei confronti di coloro
che nel loro lavoro e nel loro campo d’azione avevano avuto modo di essere,
fortemente, critici nei confronti del “sultano” (ad esempio, molti magistrati
s’erano, coraggiosamente, spinti ad indagare sugli affari non proprio leciti di
figli e parenti del presidente); ha minacciato la possibilità della
reintroduzione della pena di morte per i golpisti. Inoltre, l’hitleriana “messa
in mora” della più elementare ponderazione da parte di erdogan che i suoi
oppositori, golpisti o meno, erano e sono titolari di Umana Dignità, della
quale si doveva, si deve, era, è onesto tener conto nella isterica esaltazione
della vittoria su di essi: molti presunti golpisti sono stati ripresi dalle
televisioni erdoganiane di stato, a mo’ di ammonimento per tutti coloro che
volessero ardire ad una parola contro il dittatore, con volti tumefatti da
inqualificabili torture o ammassati, dopo essere stati denudati e ammanettati,
in palestre alla bisogna requisite.
Tenuissimi il dissenso, le lagnanze dei
paesi europei e degli “states”: gli inquilini provvisori dei loro “palazzi”,
dopo aver, coralmente, premesso che il “golpe” dei militari in turchia aveva,
colpevolmente, provato a destabilizzare un governo, democraticamente,
liberamente, eletto, si limitava ad ammonire erdogan di ”star buono se poteva e
può” nel minacciare l’erogazione della pena di morte ai golpisti. Il resto:
torture, carcerazioni non su mandato della magistratura, esoneri da incarichi
pubblici, importanti o meno, bavaglio alla stampa, alla Sovrana Espressione del
Pensiero, non veniva, non viene annusato, come male assoluto,”sed” come normale
prassi di un capo di governo, di un presidente offeso dalla dirompente fame,
libidine di potere di pochi criminali, dai colleghi europei e statunitensi di
erdogan, anch’essi, per carità, democraticamente, liberamente, eletti, dalle
loro irresponsabili plebi.
Ché se, diversamente, avessero essi agito, avrebbero
invaso la “privacy” di un “buon padre di famiglia”, come si ritengono e si sono
ritenuti, spudoratamente, tutti i più truci despoti, immaginandosi occupati, ognora,
nell’essere i guardiani, i testimoni del
“bene comune” e dello “stato”. Ho, poco sopra, Parafrasato, Ironizzando, un
celebre aforisma che filippo neri rivolgeva ai bambini che egli curava,
sottraendoli alla deriva dei ”cancelli” e di più dure pene, ma, quando coloro
che si trovano ad avere nelle mani i
destini dei popoli pontificano di Valori che la Storia, giammai, ha Partorito,
sanno in coscienza (anche loro ne hanno una!) che la Democrazia, la Libertà, la
Sovranità dei Popoli sono Contestualizzati, Localizzati nell’Utopia, cioè, nel
Luogo che non c’E’ e, mai, ci Sarà, come in un altro mio Scritto ho Ribadito.
A
meno che, cosa del resto impossibile, non Si Riesca ad Inventare un Altro Uomo
che Parli, Si Comporti, Si Rapporti agli Altri suoi Simili e alla Natura,
Sviluppando il Vissuto di quei Pochi Alieni, Dediti alla Poesia, all’Arte, alla
Contemplazione della Bellezza, della Razionalità, nell’Universo Diffusa; che,
estranei, sono apparsi al generale umano vegetare in milioni di anni.
Democrazia, Governo del “Demos”, del Popolo e dove, mai, nello spazio, nel tempo
abbiamo visto un Popolo Accomunato dal Generale Alto Sentire, Cosciente che la
Libertà non è Innata, “sed” Conquista quotidiana, di ogni ora, di ogni istante;
Liberazione, direttamente, Proporzionale all’Orgoglio della Conquista della Sovranità?
Erdogan farfuglia che è il suo popolo a richiedere la pena di morte ed egli
ha il dovere di ubbidire al suo popolo, i cui rappresentanti sono anch’essi
favorevoli alla pena di morte da comminare ai golpisti ed egli, essendo un uomo
d’onore, non potrà mancare di ubbidire ai rappresentanti del suo popolo.
Malafede, egli sa bene, come sanno bene tutti i suoi sodali governanti, più o
meno attenti nel moderare i loro appetiti, nel servirsi dell’opacità intellettuale
delle masse, che non ha un Popolo Creatore di Idee e di Pensieri, ma un enorme
cantaro ove sono ingabbiati ciurme di pance che evacuano da esse, che da esse
espellono “stronzate” con cui concimare il sacro patrio suol.
“Si parva licet
componere magnis”, nel senso che anche nelle situazioni negative possiamo
trovare importanti operatori in/di esse, e piccoli “marachellanti” di borgata,
quando renzi, sbruffoneggiando, dice ai suoi pavidi oppositori (bersani e
cuperlo e speranza, se non fossero apparsi sulla scena del politicume italiettino,
avremmo dovuto mandare in giro Diogene col lanternino in cerca della
personificazione, della rappresentazione della politica inanità): ”Mi volete
cacciare? Bene, si convochi un congresso e, se siete in grado, vincetelo”, non
oppone loro in mala fede un “da fare” retorico? Conoscendo bene la qualità
culturale, umana degli eventuali partecipanti al congresso piddino, fatta di
suoi servi che hanno appeso la loro carriera politica ai successi del loro “boss”, come i rappresentanti del volgo turco
in parlamento resteranno a posare il “culo” sulle cadreghe di quella istituzione,
finché erdogan vivrà, fisicamente, ché non tutti i tiranni sono morti nel loro
letto. Allora, quali le motivazioni che hanno spinto il blocco occidentale, gli
“states”, la “ue”, la “nato”, come dire, ancora, gli “states” a santificare
erdogan, quale governante, “democraticamente, liberamente, eletto contro il
quale nessuno avrebbe dovuto permettersi anche di immaginare un “golpe”?
La preoccupazione di
essi è stata, è causata dall’incessante processo di islamizzazione della
società turca, in costante oblio del paese laico e occidentale del padre della
patria Atartuk; dal graduale avvicinamento di essa al regime del russo vladimir
putin in sincronico allontanamento dai paesi, poco sopra, elencati; sempre più,
lontana dagli interessi atlantici. Che dire, poi, delle basi “nato” di stanza
in turchia, da cui decollano gli aerei, che la “nato”, in nome e per conto
degli “states”, invia a produrre bombardamenti chirurgici contro i regimi
“canaglia”, sgraditi agli stessi?
Per quanto riguarda l’italietta di renzi e
dei suoi compari, “pecunia non olet”, come non puzzava a d’alema, quando, da
presidente del consiglio dei ministri, ordinò l’espulsione dall’italietta di
abdullah ocalan, il leader del pkk, il partito dei lavoratori del kurdistan,
permettendo la sua cattura da parte di emissari del governo turco e la sua
condanna a morte che, però, nel 2002 fu commutata in ergastolo. Troppi gli
intrecci affaristici tra l’italietta e la turchia, che sarebbero stati
compromessi dall’ospitalità italiana, tra l’altro dovuta ad ocalan, in quanto
rifugiato politico, all’interno delle “itale sponde”. Pertanto, nonostante gli
sviluppi del regime di erdogan, poco confortanti dal punto di vista del
mantenimento delle guarentigie democratiche,
renzi ed erdogan hanno, su mandato delle loro lobby industriali e
finanziarie, interessi economici di rilevante necessità per interrompere i loro
rapporti commerciali.
A tanto si aggiunge la “quaestio” strategico –
energetica. In turchia dovrà transitare il gasdotto “south stream”,
sponsorizzato dai nostri governanti per alleggerire la dipendenza energetica
dalla russia. Il progetto è finalizzato a portare, passando dalla turchia, gli
idrocarburi del caucaso in italia. Mosca o ankara, dunque? “Semper, pro
pecunia”, coloro che reggeranno le sorti dell’italietta nel breve e nel lungo
periodo dovranno scegliere il male minore, ché la russia, morto uno “zar” se ne
fa un altro e la turchia non è da meno nel confezionare sultani. Chi è, infine,
erdogan? Da piccolo vendeva limonate per
le strade, ora si fa mèntore di 81 milioni di turchi e la sua residenza,
inaugurata in occasione dell’anniversario della fondazione della repubblica di
turchia, costata all’erario turco 615 milioni di dollari, è un edificio 30 volte
più spazioso della “casa bianca” e 4 volte più della reggia di versailles.
Tali
le normali manie di grandezza di un ex poveraccio, generato da padre
guardacoste.
Il deputato repubblicano Aykan Erdemir aveva spiegato a “The Post
Internazionale” come la turchia fosse una nazione costruita su due fondamentali
contraddizioni: “Il governo turco include le masse e contemporaneamente esclude
le opposizioni; si fonda su valori etici ma anche sul più cinico pragmatismo;
si batte per il consolidamento e, allo stesso tempo, per la frammentazione
della società. Il prodotto di tutto questo è un nuovo modello culturale, ovvero
il modello turco, che possiamo chiamare “Erdoganismo”.
Ma, oggi, erdogan,
nonostante il suo inespugnabile palazzo presidenziale, frequentato da
scherani armatissimi, è, fortemente,
preoccupato per due motivi: uno economico e l’altro politico. La crescita
economica, che gli ha permesso di accaparrarsi il consenso delle masse, ha,
sensibilmente, conosciuto un evidente rallentamento. Dal New York Times, Financial Times, Foreign Affaire si
apprende che la turchia fa parte delle “fragile fave” ”ovvero le cinque
economie emergenti che nascondono debolezze strutturali, insieme a brasile,
india, Indonesia, sud africa”.
Eppure, secondo Vittorio Emanuele Parsi, erdogan
nutre, arrogantemente, l’ambizione di “riproporre ancora una volta
l’irrealistico e velleitario progetto di una nuova centralità turca nel
Levante”. Dal punto di vista politico, soprattutto della politica
internazionale, erdogan è un uomo solo. Angela merkel, per giustificare la sua contrarietà
ad ammettere la turchia nella “ue”, ironizzò sul fatto che ankara è un “ponte
su due mondi”, ma è nell’impossibilità di poterli avvicinare, in quanto non
appartiene ad alcuno dei due mondi, con il rischio di rompere i collegamenti
fra i due mondi e di “restare pericolosamente isolato nel mezzo”.