Ecco la festa del “Primo Maggio” 2017, dopo la festa della ”Liberazione” 2017 che, come qualche giorno fa Scrissi, fu liberazione, esclusivamente, da mussolini e dai suoi gerarchi, se, pur, non tutti, in quanto molti di essi (ahimè, trasformismo immedicabile degli italiettini!) si riciclarono nella democattolicrazia. Faccio uso di qualcosa, da ME vissuto, a riprova che con la caduta di mussolini, tutto nell’italietta continuò mussolinianamente.
Avevo una Zia Maestra, che MI fece dono di un sussidiario in uso in una classe delle elementari, che IO frequentavo. Ebbene, questo sussidiario, tagliata con le forbici la parte iconografica, che ritraeva mussolini nelle sue pose da dittatore, composto e edito, quando il “dux” era vivo e vegeto, andò bene, era, ufficialmente, adottato, anche, dopo che il cadavere del “dux”era stato appeso con la petacci e i camerati più in vista a “piazzale Loreto”. La “paideia” fascista, senza troppe mentite spoglie, andava bene, anche, ai cattomassonici al potere, tra l’altro, gli insaziabili “prenditutto” dei “Patti Lateranensi”, in seguito allegati alla costituzione italiettina (art.7), promulgata il 27 dicembre 1947 dal capo provvisorio dello stato repubblicano, s’oda, s’oda, il monarchicissimo enrico de nicola, che, poi, fu il primo presidente della corte costituzionale dal 23 gennaio 1956 al 26 marzo 1957. Nessuna discontinuità, quindi, sia di uomini, in un modo o nell’altro coinvolti nel regime fascista, sia dell’operare di quella “malattia dello spirito”, come fu definita l’ideologia fascista, che inquinava le coscienze dei singoli e il tessuto della società “sine civibus”, cioè non civile.
A proposito della costituzione italiettina, mitizzata, santificata, considerata la migliore costituzione in giro per il pianeta, essa non fu altro (uso il passato remoto ché oggi nessuno più fa riferimento ad una particolare ideologia, scelta come guida dell’agire nel privato e nel pubblico) che un compromesso (è un eufemismo) tra i mèntori delle tre più accorsate ideologie: la cattolica, la marxista, la liberale. Infatti, in non pochi articoli della costituzione, se si fa una perentoria affermazione, nei commi di essi c’è la latina smentita o sensibili limitazioni alla/della perentorietà di essa, che bisognava dare il contentino alle tre “grazie”. Qualche esempio per Provare, Dimostrare il mio Assunto.
Leggiamo l’art. 7 che recita: ”Lo Stato e la chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Ecco, la riproduzione di “Libera Chiesa in libero Stato”, la liberale progettualità cavouriana che disegnava, immaginava i rapporti futuri tra l’italietta unita e la chiesa cattolica. “I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi….”. Comma, come ciascun Lettore può, “de visu”, appurare, che consegna alla chiesa cattolica la facoltà di essere, capillarmente, nella penisola, talmente, invasiva, da ritardare per decenni la Modernizzazione Etica, Giuridica, Civile, Culturale dello stato italiettino.
Leggiamo, ancora, l’art.42, secondo comma: “La proprietà privata (non si accenna, minimamente, alla consistenza di essa, cioè, se si tratti della proprietà di un orticello, magari, frutto di immensi sacrifici dell’agricola, o di sterminati latifondi, frutto di inaudite grassazioni, magari, mafiose, nei confronti della comunità da parte di coloro che se ne impossessarono, divenendone proprietari) “è riconosciuta e garantita dalla legge….”.
Concessione evidente all’ideologia liberale e cattolica, una sorta di guarentigia contro i pericoli di una eventuale presa, conquista del potere da parte dei comunisti, che avrebbero potuto mirare al ridimensionamento da parte dello stato delle spropositate dimensioni di proprietà, non giustificate, se non da furti o da condotte illecite. Invece, il terzo comma dell’art.42 limita l’assoluta sacralità della proprietà privata, quando precisa che essa: ”può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo (spesso due lire e con notevoli ritardi, discrezionalmente, decisi dall’autorità politica, che avrebbe potuto, può, potrà con piani urbanistici confezionati ‘ad hoc’, dietro corresponsione di olianti tangenti, contribuire alla valorizzazione esagerata di alcuni terreni o alla dequalificazione irrimediabile di altri. Da codesto comma s’è originato il sacco, la devastazione dello stivale, oltre ad essere stato fonte di corruttela e, di conseguenza, di stupefacenti arricchimenti), espropriata per motivi di interesse generale”.
Ahimè, quanti delitti in nome dell’interesse generale! D’altronde, chi avrebbe potuto, dovuto dare l’ ”imprimatur” a una decisione politica imposta, siccome teleologizzata al Bene Pubblico? “In illo tempore” il segretario comunale, provinciale, regionale, nazionale del pci, nel caso che codesto partito fosse stato in grado di accaparrarsi un comune, una provincia, una regione o palazzo “chigi”, proseguendo le soverchierie fasciste in versione, salsa stalinista – togliattiana.
In effetti, il terzo comma dell’art. 42 della costituzione sa tanto di pasticcino concesso a togliatti e compagni. E veniamo alla festa del “Primo Maggio”. Miei cari 25 Lettori, non Ritenete Voi che sia osceno festeggiare momenti, drammaticamente, cruciali della storia nazionale e mondiale, sui quali, non per retorica ritualità, asfittica, falsa, ipocrita, disincarnata dai mille e mille e mille Corpi martoriati, trucidati, debba PosarSi la nostra sincera, razionale Riflessione, non datata in un preconfezionato, prefissato giorno dell’anno, “sed” in tutti gli istanti del nostro vivere, per da Essa Cavare l’assurdità dell’uomo contro l’uomo, dell’uomo che sfrutta l’altro uomo, dei pochi uomini al mondo in tutte le epoche, ieri, oggi, domani, certamente, che arraffarono, arraffano, arrafferanno, sottraendole a tutti gli uomini del pianeta, le incalcolabili ricchezze di esso e si arricchirono, si arricchiscono, si arricchiranno di/con ciò che una moltitudine di uomini producono? Perché i pochi uomini continuassero, continuino, continueranno, certamente, a violentare, depauperare la Natura e i loro simili si dichiararono, si dichiarano, si dichiareranno le guerre. Il sangue, l’omicidio, il genocidio, le ladrerie dei singoli e degli stati centrali nei confronti di quelli periferici sono diventati nel tempo una normalità, per questo li festeggiamo, come festeggiamo un compleanno o un onomastico.
E’ possibile festeggiare il compleanno dell’unità dell’italietta, se questo inutile, per il meridione di essa, soprattutto, evento politico comportò: tre guerre, cosiddette d’indipendenza (da chi? Da cosa? Chi fu indipendente?); una miriade di ingenui, giovani patrioti (Cos’è la patria? “Cui profuit, prodest, proderit pro patria mori”?) fucilati, impiccati? E non vogliamo contare i morti, appartenenti ad eserciti, che la retorica risorgimentale, ha marchiato, marchia come nostri oppressori e invasori? Quando l’uomo uccide l’altro uomo, è tutta l’umanità, in solido, per un motivo o per un altro, colpevole! Ciascun uomo non è un’ isola e la responsabilità delle sue azioni, di penale rilevanza (Bergoglio non MI ha, mai, fatto, non MI fa impazzire per il suo scontato, banale sociologismo, ma quel “perché tu e non io?”, rivolto a un detenuto, MI ha, fortemente, impressionato!), non è del tutto personale, così come ciascuna comunità statale, nazionale interagisce con tutte le altre e ciò che accade di negativo, a livello mondiale, non accade, se non per “effetto domino”, ché un fatto, anche, piccolo in una zona del pianeta innesca una serie di numerose conseguenze nella totalità di esso. Medesimamente, miserabile è la data dell’otto marzo, giorno rituale per celebrare la festa della donna, che rimanda ad un episodio in cui alcune operaie americane, chiuse in fabbrica dal loro padrone, ché non partecipassero a uno sciopero, persero la vita a causa di un incendio nel 1857. E che dire dei “Martiri di Chicago”, impiccati, condannati a lunghe pene detentive, perché, durante gli scioperi in tutti gli “states” per la giornata lavorativa di 8 ore, iniziati il primo maggio del 1886, proseguiti fino al 3 maggio con violenti scontri, in cui la polizia usò le armi, uccidendo alcuni manifestanti, fu fatta esplodere una bomba esiziale contro di essi. Quando si tratta di trovare i capri espiatori di un evento delittuoso, si va a cercare tra gli Anarchici i colpevoli, sistematicamente; a ingiustizia fatta, con pene capitali e lunga galera, i “presunti mostri” vengono riabilitati in seguito a revisione dei processi. Vogliamo, forse, dimenticare Sacco e Vanzetti? E Pinelli negli anni italiettini di piombo? E Valpreda? Così capitò agli “Anarchici di Chicago”: ebbero il loro monumento, in tutto il mondo diventarono i festeggiati “Martiri del Primo Maggio”e nella medesima ricorrenza fu, è d’abitudine osannare i lavoratori e il lavoro.
La costituzione italiettina proclama: all’art.1: ”L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”; all’art. 4: ”La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Quindi, il lavoro è un diritto, ciò vuol dire che 4 milioni di italiettini (il “12”% della popolazione) sono senza il diritto fondamentale per la loro dignitosa sopravvivenza e privi dei mezzi per la loro umana Realizzazione, come Cittadini. I dati “Istat”, poi, danno la disoccupazione dei giovani, dai 14 fino ai 24 anni, stazionante intorno al 40,01 %; tra costoro vanno annoverati, anche, quelli che non studiano e più non cercano, sfiduciati, lavoro (in sardegna, 1 giovane su 2 affoga in siffatto abisso esistenziale). Quotidianamente, i media danno notizie di imprese, aziende, piccole e grandi, che chiudono o sono in procinto di fallire (l’ ”alitalia”, ad esempio, con 12 mila dipendenti in procinto di essere licenziati) o delocalizzano la produzione in paesi, ove più auspicabili sono i profitti per il, quasi, irrisorio costo del lavoro e la fiscalità non oppressiva, come nell’italietta. Allora, che fare, se chi amministra lo stato, se i rappresentanti del popolo non s’Adoprano perché il Diritto al Lavoro sia, effettivamente. Promosso, secondo il dettato della costituzione, o se muovono i glutei, male li muovono? Nelle grandi intraprese, di cui lo stato è azionista di maggioranza, sono stati, dai vari governi, nominati “manager” incapaci, corrotti, clienti delle varie lobby, correnti affaristiche all’interno dei partiti politici italiettini che, a causa di essi, marciscono nella corruttela. Bisogna Rivalutare l’Artigianato! Attualmente, nelle grandi, medie, anche, piccole fabbriche, ciò che può fare un numero non irrisorio di operai, di impiegati, di “colletti bianchi”, ormai, può farlo un “robot”: non è un mistero che lo sviluppo tecnologico nell’industria ha, sempre, comportato la non necessità del personale umano, specie di quello meno qualificato. Allora, per il futuro, viste le cose in prospettiva, bisogna: Incentivare le Botteghe Artigiane (il Rinascimento fu la/nella Bottega Artigiana!); Invitare i Maestri Artigiani, se ce Ne sono ancora in giro o sul mercato, a Insegnare ai giovani quei nobili Mestieri: che Sviluppano la Creatività, che Spronano alla Bellezza l’Artigiano e ad Essa Educano i fruitori del suo Lavoro, della sua Creazione. E’ stato un delitto mettere tra parentesi l’Artigianato con leggi demagogiche, non appropriate a tenerLo in vita: della sartoria, dell’arte del ricamo, della lavorazione della lana, del cotone, della pelletteria, della lavorazione calzaturiera, del trattamento della pietra, della oreficeria, della bigiotteria, della ebanisteria, della forgiatura del ferro, dei metalli, ecc., ecc., ecc. “Negotium”, l’Artigianato, ché siamo tutti stufi di oggetti, prodotti in serie, che durano poco, lavorati male dalle macchine, con materie prime scadenti. Come sono in serie gli oggetti, così siamo fatti in serie noi uomini. Siamo coristi in divisa! La Scuola sia riservata a Coloro che Mostrano Vocazione per Essa e per il particolare tipo di Impegno Intellettuale che Essa Richiede e Merita; non deve rilasciare diplomi o lauree, che abbiano corso o valore legale, ché la plebaglia proletaria, piccoloborghese, l’unica fruitrice della scuola pubblica italiettina, s’illude che valga, basti la cartaccia, in qualsiasi modo rubacchiata o ottenuta, per potersi introdurre nell’ascensore sociale. Ecco le motivazioni della moria sociale dei milioni di giovani diplomati e laureati italiettini! Festa il “Primo Maggio? Incredibile: festeggiare coloro che fecero olocausto di sé per la normale giornata lavorativa di otto ore che, per Carlo Marx del “Capitale”, fu la Conclusione di Lotte secolari, se non millenarie, di schiavi, di servi della gleba, degli operai della prima e seconda rivoluzione industriale. Festeggiare in un momento di grande incertezza interna, che tocca la politica, l’etica individuale, pubblica, l’economia problematica delle famiglie e dello stato per la pauperizzazione incessante delle prime, il debito immane del secondo; di grande, intensa preoccupazione internazionale: per via di fanatici sanguinari, pescati, non di rado, tra gli “ultimi”, in giro per locali pubblici, per piazze, strade, mercati; per via di pazzi sanguinari, al vertice di stati, più o meno importanti, che hanno tra i loro piedi, non avendo cervelli, i destini del mondo. Allora, basta con la retorica, la ritualità ipocrita delle celebrazioni festaiole, che ci distraggono o sono un alibi per non impegnarci, duramente, fattivamente, nel quotidiano, nei doveri, che esso comporta, e contestualmente, Coltiviamo il Desiderio o la Nostalgia delle Lontananze, nel caso sia vero che di Lassù veniamo, per Parafrasare Claudio Magris, là dove le stelle, gli astri, i sistemi solari, le galassie, solidarmente, Convivono, ché in essi, ognora, si rinnova il risveglio della Razionalità, mentre nell’uomo, ad ogni suo risveglio, si rinnovano le forme irrigidite della bestialità primordiale, mai, superata dalla Razionalità che, pure possiede, ma, giammai, da lui Costumata per Affratellarsi con l’altro uomo, sì da rischiare il suicidio con il “moloch” nucleare, generato dallo sviluppo tecnologico “in progress”, ove, soltanto, ha fatto uso di quella Facoltà Raziocinante, che lo distinguerebbe dagli altri esseri viventi, che di essa sarebbero privi.