Prima di trattare altri Argomenti
di ben altra Gravità Etica, anche, per Rodare il mio Scrivere, vorrei
SoffermarMI, ancora una volta, sull’italiettino degrado, declino culturale, di
cui più non si può tacere; sull’omologazione linguistica, che non può non
essere omologazione esistenziale e, quindi, di visione del mondo, cioè, anche, sottoculturale.
Declino culturale, omologazione linguistica o, “tout court”, omologazione, che
sorprendono insospettabili accademici, politici, sindacalisti, insigni
professionisti, a detta della plebe, che li osanna. Ebbene, nel programma
televisivo della Gruber, ”Otto e mezzo”, edito dalla 7, la rete di Cairo, tra
gli altri, erano ospiti il tatuatissimo, barbuto, simpatico “blogger”,
D’Agostino, e una prof. essa (o professora?) di cui, purtroppo, non ricordo il
nome e il cognome, che insegnerebbe in una università parigina. Ad un certo
punto dell’infuocata “querelle” sulla renziana controriforma costituzionale, la
pulzella non d’orleans, che si professava sputata fan del putto gigliato,
incalzò il povero D’Agostino interrogandoLo sul significato dell’Aggettivo
”Classico” e, accortasi degli indugi del suo Interlocutore, con enfasi accademica
Ne sparò l’erratissima, ridicola accezione: “Classico è tutto che viene
insegnato in classe”. Nell’ ascoltare siffatta boiata, immantinente, fui preso
dalle ipercinesie da “corea minor” o, più prosaicamente, da “ballo di san vito”
e, all’unisono col mio incontenibile QuerelarMI sull’ignoranza che, come le “palme”
di Sciascia, sale, ognora, più in alto, Immaginai: di volare a parigi e, dopo
aver dato uno strattone alla titolare della cattedra, la presunta solona, dalla
Gruber invitata a sproloquiare sui fatti e misfatti renziani, di Spiegare a
stupefatti studenti l’autentico, filologico, storico senso dell’Aggettivo “Classico”.
Spiegazione che Dono, “etiam”, alla ciurma dei boriosi dirigentucoli di licei
classici, di insegnantucoli che salgono
in cattedra in essi, ormai, dimessi e dismessi della Cultura Classica: gli uni,
renzianamente, ducetti, gli altri, renzianamente, schiavetti ignorano perché la
loro scuola s’appelli, proditoriamente, impudentemente, “Classica”.
Ebbene,
l’Aggettivo “Classico”, non ha, filologicamente, assolutamente, niente da spartire con le classi scolastiche, se non,
indirettamente, ché in talune di esse dovrebbe Risuonare l’Alata Poesia, la
Lingua di Omero e di Virgilio. Invece, l’Aggettivo “Classico” Sortisce dalla
Storia di roma in cui allignò la gramigna di una società, eminentemente,
classista. Infatti, in roma si drizzarono per molti secoli due classi sociali: degli “ottimati” (“optimates” in Latino, erano coloro che si
consideravano i ”migliori”, anche, perché si credeva discendessero da eroi
leggendari o da divinità), componenti della fazione aristocratica conservatrice
della tarda repubblica romana, grandi proprietari terrieri che, oltre ad avere
un potere economico, esercitavano un potere politico, essendo i rappresentanti
di essi i detentori delle massime cariche istituzionali. Salvaguardavano i
privilegi, la visione del mondo, cioè la cultura, le tradizioni della classe,
cui appartenevano; dei ”plebei”, formata dalla maggior parte della popolazione
che lavorava nei campi o svolgeva attività artigianale o commerciale.
I “plebei”
per molto tempo furono esclusi da tutti gli incarichi pubblici. Da una costola
dei “plebei” emersero gli “homines novi” che, incominciando da zero e seguendo
un “cursus honorum”, si fecero strada fino ad arrivare alle cariche dello stato
e ad assumere il potere. In fondo alla piramide sociale languivano gli schiavi,
considerati cose del padrone, senza Libertà, senza Dignità, senza Diritti. I
patrizi, gli aristocratici, cioè coloro che si consideravano i ”migliori”, o
gli intellettuali, ad essi organici, si fecero mentori della Produzione Culturale,
in roma e in grecia (ché, anche la società delle “poleis” greche era,
fortemente, classista e schiavista), e del Processo
di Elegante Elaborazione Formale delle rispettive Lingue, sì che si ebbe la Cultura
e la Lingua Classica, perché frutto della Messa a Punto Intellettuale e del
Processo Linguistico Sviluppato dai ”migliori”, ovviamente, classisticamnente,
parlando, appartenenti alle prime classi egemoni, economicamente,
politicamente, in roma e in grecia.
Pertanto, la “Cultura Classica”, per
antonomasia, é la Cultura Greca e Latina; le “Lingue Classiche”, per
antonomasia, sono la Lingua Latina e la Lingua Greca antica, e i Licei Classici,
sono così nomati ché in essi, irrevocabilmente, preponderante deve essere lo
Studio della Cultura e della Lingua dei Greci antichi e dei Latini. Qualcuno
potrebbe eccepirMi, obbiettarMI che sarebbe, pedagogicamente, irrituale, a dir
poco, ammannire agli imberbi la cultura, la visione del mondo di ladroni, di
guerrafondai, di schiavisti, quali furono, storicamente, i greci e, in special
modo, i romani dei “ghene” e delle
“gentes” aristocratici; bisogna, però, Ribadire con Marx e Gramsci, che le
Opere Scientifiche, Filosofiche, le
Magnifiche Cattedrali della Poesia e della Prosa, le Sublimi Sculture e Pitture
e Affreschi di Pensatori, di Scienziati, di Poeti, di Prosatori, di Artisti di
tutti i tempi, compresi Quelli Vissuti nell’antichità greca e latina, giammai si
appiattirono sulla realtà sociale, politica, culturale del loro tempo,”sed” con
essa, con esso Dialogarono, sì che le loro Opere Risultarono il Rispecchiamento
Dialettico di essa o di esso e, molto, spesso, se non sempre, il “The End”
della loro Fatica ha Contraddetto le Idee, i Convincimenti, le “Doxai”, i
pregiudizi, perfino, dai quali erano partiti per tentare di Capire il loro
mondo.
Per traslato il significato di “Classico” ha Tracimato oltre le colonne d’ercole di Ciò
che Si Riferisce alla Cultura, alla Letteratura, alla Scienza, alla Filosofia
Greca e Latina e ha Nobilitato il “Meglio” di spazi, di eventi, di Creazioni Artistiche e
Intellettuali di altre umane stagioni. Ad esempio: i Classici della Letteratura
Italiana, i Classici della Filosofia Occidentale, i Classici della Pittura
Francese, i paesaggi classici dell’italico stivale, i classici delle corse
ciclistiche, le partite classiche del campionato di calcio italiano. Quanta
pena MI fanno gli attuali accademici italiettini, sia che facciano i loro
bisognini in patria, sia che li esibiscano all’estero!
Per Parafrasare Dante, come
nell’italietta di ieri, anche in quella di oggi, più non suona il “sì”, per
esprimere assenso, consonanza, accordo, sostituito per mera, patologica
esterofilia (a dire il vero, il pesce puzza dalla testa, come si suol dire
nelle taverne. Ammesso che, antropomorficamente, la testa del popolicchio
italiettino sia renzi e, quasi ,quasi, MI sto convincendo che così sia, sta di
fatto che costui, tra i tanti “disimpegni” negli “states” aveva un incontro, da
un istituto culturale invitato, per magnificare la Bellezza dell’italico Idioma
e, invece, di esprimersi in Italiano, gran parte del suo dire s’è ingolfato di
termini del suo inglese macaronico, tra l’altro) dall’ ”okai” anglosassone.
Invece, nell’italietta di oggi, per mera
omogeneizzazione linguistica, che è, anche, come “supra Diximus”,
omogeneizzazione sottoculturale, esistenziale, politica (fatta di pancia), è
sparita la congiunzione “o” dall’eloquiune degli italiettini e dilaga in esso
l’avverbio “piuttosto”, sì che gli italiettini con arrogante ignoranza
s’illudono, sostituendo la “o” con “piuttosto”, d’essere aulici, eleganti nel
loro grugnire e, inconsapevoli, commettono, per Parlare Latino, un
intollerabile strafalcione.
Infatti, la “o”, con valore disgiuntivo, coordina
più elementi della medesima natura
grammaticale all’interno di una proposizione, o più proposizioni del medesimo tipo di un periodo, esprimendo, a
seconda dei casi, un’alternativa (ti scriverò o verrò di persona), una
contrapposizione (o bianco o nero), una reciproca esclusione (mandami l’uno o
l’altro). Equivale ad “oppure”. Con valore esplicativo la congiunzione “o”
indica un’equivalenza tra due o più termini, ad esempio: la semiologia o,
ovvero, ossia, vale a dire la scienza dei segni. Mentre l’avverbio “piuttosto”
indica: una comparazione di maggioranza tra due alternative e significa, più
spesso, preferibilmente, ad esempio, mi servo della bici piuttosto che
dell’auto; o meglio, ad esempio, vediamoci in piazza o meglio a casa; alquanto,
ad esempio, quel tizio è alquanto antipatico; invece, ad esempio, dimmi invece
come la pensi. Bene, o miei cari 25 Lettori, dopo codesta bella rinfrescata
grammaticale, ritenete che sia più possibile, tollerabile che si possa,
impunemente, sostituire la “o” con “piuttosto”, se non per una shakespeariana,
leziosa, untuosa autogiustificazione, recitando: “così parlan tutti, così fan
tutti”?