MI accorgo, ora, di aver speso troppo tempo e
occupato troppo spazio nella disamina: di un erroraccio semantico, commesso da
una sedicente accademica parigina; della omologazione linguistica, che riguarda
la dilagante sostituzione da parte degli italiettini della congiunzione
disgiuntiva ”o” con l’avverbio “piuttosto” e di aver riservato poco tempo e
spazio alla trattazione di Temi di più ampio, severo, tragico Spessore Etico.
Vorrà dire che Tratterò un solo Tema, Promettendo ai miei 25 Lettori di
Esaminare, Sviluppare gli altri Temi, di cui MI ero Ripromessa la
Discussione, in un prossimo mio Scritto. Per Entrare,”statim in medias res”,
una Domanda retorica dal mio punto di vista, non certo retorica per la pletora
di mammini e papine, ai quali andrebbe, senza fallo, sottratta la patria
potestà da una magistratura più attenta alla capacità di costoro di Formare, di
Educare i loro pargoli, che alla lettura secchiona, fiscale del “diritto di
famiglia”. La domanda è questa: sono responsabili, e di quanto responsabili, i
genitori dei fallimenti dei loro figli, fino a vederli morti per un accidente
qualsiasi o, addirittura, per una condanna a morte nei paesi, come gli
“states”, ove è in vigore la pena di morte ?
Non Fornirò IO la Risposta alla
Domanda, ma un condannato a morte negli “states”che, nell’attesa dell’
imminente esecuzione della sua condanna, chiese, come suo ultimo, estremo,
disperato desiderio, al secondino, addetto alla sua vigilanza, un foglio di
carta e penna, per scrivere una lettera alla madre, che MI Accingo a
Trascrivere; che Vale quale Monito e Insegnamento a Coloro che sono in
Grado di Capire, più delle inutili omelie di noiosi pedagogisti e dei loro
trattati, nemmeno utili, come carta igienica.
Preciso che la lettera è stata
Postata su “facebook” dai Signori Nicola Alessandro Scoppio e Domenico
Cirasola, che Ringrazio, anche, a Nome dei miei 25 Lettori: ”Mamma, se ci fosse
più giustizia in questo mondo saremmo in due oggi a essere condannati e non
solo io. Sei colpevole tanto quanto me, anzi sei colpevole anche per la vita
che perderò. Ti ricordi quando ho rubato e portato a casa la bicicletta di un
ragazzo? Mi hai aiutato a nasconderla affinché mio padre non la scoprisse e non
mi punisse. Ti ricordi quando ho rubato i soldi dal portafoglio del vicino? Sei
stata con me a spenderli, nel centro commerciale. Ricordi quando hai litigato
con mio padre e lui se n’è andato ? Voleva solo correggermi, perché
invece di studiare, avevo copiato il compito all’esame…alla fine mi hanno
scoperto e anche espulso. Ti sei messa contro mio padre, i maestri e alla fine
non ho imparato nulla, oltre che a delinquere… Mamma, io ero solo un bambino
che aveva bisogno di correzione e non di approvazione. Ma comunque io ti
perdono! Chiedo solo che tu faccia leggere questa lettera al maggior numero di
genitori nel mondo, affinché sappiano che hanno la responsabilità di crescere
un figlio facendolo diventare un uomo, che potrà agire facendo del bene o del
male… Grazie mamma, per avermi dato la vita e per avermi aiutato a perderla. Il
tuo figlio delinquente. Volevo inoltre ricordarti che: Chi si rifiuta di punire
un figlio, non lo ama. Chi lo ama, non esita a sgridarlo (proverbi 13:24).
L‘istruzione è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo (Nelson
Mandela). Istruzione e rimprovero comincia nei primi anni dell’infanzia e
durano fino all’ultimo giorno di vita (Pitagora). Educa i bambini e non sarà
necessario punire gli adulti (Pitagora)”.
A parte il reato, in concorso
con i propri figli, di appropriazione indebita o di latrocinio, di cui i
genitori, ai quali MI Rivolgo, per fortuna, non si sono macchiati, tutte le
accuse, che il giovane condannato a morte rivolge alla madre, potrebbero essere
rivolte ai genitori italiettini, e non solo italiettini di oggi, per la loro
vile incapacità, “nolontà” di Pronunciare, l’ormai, non al passo con i tempi, con
le mode, le tendenze, i “trend” pedagogici: ”NO”. Quanti “NO” avrebbero
potuto Pronunciare i genitori di stefano cucchi, di federico aldovrandi (in
giro la notte dell’infame agguato poliziesco contro di lui, forse, anche
strafatto di droghe. E aveva, appena, 16 anni!), i genitori di due ragazze di
valduggia, una di 23 e l’altra di 21 anni, che alle 7 di domenica, 23
ottobre 2016, sono passate alla cosiddetta miglior vita a causa del
ribaltamento di una polo, dopo una notte trascorsa in discoteca! E i genitori,
mentre i figli morivano, muoiono, moriranno, dolcemente, tra le braccia di
morfeo! Non furono, non sono, non saranno costoro colpevoli della vita che i
figli persero, perdono, perderanno? Non sono, non furono, non saranno costoro
colpevoli di aver privilegiato, di privilegiare, ieri, oggi, domani, l’infame,
dequalificato pezzo di carta, all’Istruzione, alla Cultura, la Sola, Possibile
Salvezza del Mondo ? Non furono, non sono, non saranno costoro colpevoli, se,
in combutta con i loro figli, escogitarono, escogitano, escogiteranno tutti i
più delinquenziali machiavelli per estorcere da una scuola fessa, imbecille, in
cui operano autentici quaquaraqua, alti voti, promozioni, diplomi che,
comunque, sprofondarono, sprofondano, sprofonderanno i loro “bamboccioni” nella
più cupa frustrazione, non essendo quegli attestati rubati ”testimonial” di
vasta preparazione, di competenze acquisite?
Non furono, non sono, non saranno
i genitori colpevoli di aver rotto il Patto di Alleanza con la Scuola, abbandonando
i loro figli nelle tenebre di un vuoto educativo e condannandoli al naufragio
esistenziale, in quanto i bambini e i giovani hanno bisogno di essere Amati,
ma, anche, di essere Corretti, Emendati nei loro atteggiamenti e comportamenti,
per evitare di farli intrigare nella morsa di uno “sbirrume” impietoso e di una
giustizia implacabile, soprattutto, nei confronti di coloro che nascono da
genitori senza eccessiva o niuna voce in una società dominata da caste e
oligarchie?
L’eccessiva libertà, senza Responsabilità, può rivelare
destini e tormenti peggiori di una esistenza all’insegna di regole, di
“dicktat”, pesantemente, rozzamente, imposti da autorità
autocratiche, rassegnati, nella consapevolezza che fuori di essa c’è il
nulla.