La storia di Bitonto dal 1002.
Perché dal 1002? Ce lo Dice
Marco Vacca in “Ogni giorno è storia di Bitonto” con la sua Scrittura, sempre
Precisa, Sobria, Essenziale: “… la tradizione evoca un intervento prodigioso,
dalle parti di Porta Robustina, del Santo bambino, di San Chirico”. Che, poi,
fu eletto tra i santi protettori di bitonto, eternato da Carlo Rosa, il
Pittore, giovinazzese – bitontino, del settecento pittorico pugliese con una
sua Bottega a bitonto, “la squola bitontina”, meritevole di menzione ché formò
diversi Artisti. Cosa avrebbe fatto il 18 ottobre del 1002 (giorno, Puntualizza
Marco, “che risulta l’evento più lontano nel tempo della nostra cronistoria”)
il bambino Chirico, precocemente assurto alla beatitudine paradisiaca ? Avrebbe
salvato ”i campi già ricchi di olive” dalle scorribande dei saraceni, che
avevano fatto scalo a bari. Marco ci apre un mondo di ingratitudine da parte
dei bitontini più vicini al 2000, indiscutibilmente, ai più sfuggito e un modo
di divergere dal loro passato, oltremodo, negativo.
Tutte le epoche hanno
avuto, hanno il loro passato, anche, quelle dei nostri progenitori di due
milioni di anni fa. A testimonianza
della loro gratitudine nei riguardi del “bambino” “r nannasc nust”, gli
antenati dei bitontini, testé
sacramentati, gli avevano innalzato una chiesetta, che i loro nepoti o pronepoti
declassarono “a stalla…”. I puntini di sospensione sono importanti nella Scrittura
di Marco: non sono il nuncio del non voler, dell’aver paura di dire. Come la
preziosa ambra che racchiude in sé gli
insetti, essi si arricchiscono di Emozioni sue e di Sentimenti, di
Considerazioni e di Dubbi, di risentita Ambascia, perfino, nei confronti dei
farisei, dei sepolcri imbiancati che approfittano di figure schizzate dalle
nubi, dalla brezza mosse, per battezzarle apparizioni miracolose, mentre il
mistero apparente di essi può essere Dipanato dal Lettore Attento al contesto
Discorsivo in cui l’interpunzione sospensiva viene posizionata; alla pregnanza
semantica della/delle parola/e che la precede/ono o la segue/ono. “Habent sua
fata verba”! D’altra parte, non c’è nulla di più Animato dell’Assenza! I miei 25 Lettori hanno bisogno di un altro
Esempio che, inconfondibilmente, Provi quanto poco fa ho Riferito ? Ebbene,
Marco, a proposito del presunto intervento del ”bambino” per la salvaguardia
dei frutti del duro lavoro nei campi degli agricoli bitontini, con un
”Cincinnino” di Umorismo Mette a Posto la “vexata quaestio”: “…si fecero allora
le… prove generali delle apparizioni religiose contro i nemici di turno oltre
le mura bitontine, come la Vergine tempestiva alla bisogna.”. Ottobre significa
autunno: ciò che è avvenuto prima di ogni Storia ha avuto il suo autunno. Pur
dopo ogni sorta di inversioni, trasposizioni, camuffamenti la Storia rimane la
Stessa. Secondo Esiodo, gli uomini sono esseri decaduti, nonostante in origine
appartenessero al medesimo ceppo degli dei. Da qui l’Attrazione reciproca tra
il Divino e l’umano, Rappresentata, soprattutto, dalla mitologia, tanta parte
della Poesia Omerica. “Sed” Asserisce Roberto Calasso ne “Il Cacciatore Celeste”:
”L’uomo decade attraverso una successione di età. Non è però una caduta
graduale e lineare, come si immaginerà in direzione opposta… il progresso.”. Il
Medio Evo ebbe il suo autunno nel Rinascimento, secondo Huizinga, e non si può
ContraddirLo: Chi, dopo Dante, Possedette la “Possa e il Velle” di Intuire Dio
? Chi, dopo Giotto, secondo Giovanni
Villani, fu “il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo
tempo, e quegli che più trasse ogni figura e atti al naturale” ? La Maestosa,
Spoglia Semplicità del Romanico – Pugliese, che Caratterizza le Cattedrali di
Puglia, tra cui Quella di bitonto, non Si Nutre dell’Unica Brama nell’Uomo
Medievale di Tendere in Umiltà alla Gloria Eterna dei Cieli, essendo transeunte
quella terrena ? Da una bolla del papa urbano II, datata 5 ottobre 1089, Marco
Annota che in essa viene citato il vescovo Arnolfo. Citazione Significativa,
non per il fatto che lo stesso “con
grande concorso di popolo raggiunse Bari, per venerare le ossa di san Nicola,
portate a Bari due anni prima!”, ma perché con essa si conferma la storicità
dell’episcopato arnolfiano, durante il quale fu fondata la cattedrale “che poi
fu completata dal Vescovo Guglielmo de Tipaldo tra il 1198 e il 1207.”.
Storicità Riassicurata “quando nel 1875 fu trovata la lapide sepolcrale col
nome ‘Arnulphus’ scolpita e perciò almeno recuperata a futura memoria, perché,
poi, di quella lapide s’è persa memoria.”. Fatica vana aver recuperato, “a
futura memoria”, un Reperto Rilevante che sarebbe Servito ai posteri per
Individuare con Certezza colui che tanto Dono Elargì ai condomini, giammai
popolo, bitonttini e costoro si fecero, come da sempre si fanno, riconoscere,
permettendo, col disperdere la lapide, al tempo, in corsa con i secoli e
millenni, di trasformare in puro suono e, poi, in Nulla un Nome, una Vita, una
Dedizione Pastorale, ormai, privati, per l’accidia di una corposa ciurma di
vegetanti, di quella pietra su cui una mano, foscolianamente, pietosa Li aveva
incisi. I miei 25 lettori non potranno esimerSi dal maravigliarSi delle non
poche Parole, che ho Adoprato nell’Esternare tutto il mio Sdegno contro
l’incuria dei miei compaesani, all’anagrafe, nei riguardi di un Documento di
Notevole Importanza Storica, mentre potranno Ammirare l’Essenzialità di Marco
nel Rappresentare l’Interiore suo Stato d’Animo di immedicabile sbalordimento
per la perdita inesorabile di qualcosa che non potrà più essere ritrovato e che
avrebbe permesso ai posteri, bitontini e non, “finché il sole risplenderà sulle
sciagure umane”, di non nutrire dubbi che un Uomo Visse e Operò in bitonto;
che, fortissimamente, Volle un Monumento, la cui Scarna Bellezza, avrebbe
Superato distanze inimmaginabili e centurie oltrepassato. Gli è bastato
giustapporre, immediatamente, ad “aver recuperato a futura memoria… di quella
lapide s’è persa memoria.”. Senza alcun commento! Quando in un Altro mio
Scritto Definivo Brechtiana la Scrittura di Marco, Intendevo Dare Rilievo ad un
Modo di Narrare Oggettivo che non mischia, non confonde il Dramma, che Si Struttura
nella Narrazione, con l’Emotività del Narratore. Virgilio Asseverava:” Sunt
lacrimae rerum”,”le lacrime delle cose”, appartengono alle situazioni,
tragedie, fatti che ci stanno davanti, che Osserviamo, che Percepiamo; non
mescoliamole, per piacere, con le goccioline prodotte dalle cipolle che
opponiamo ai nostri occhi. In Eschilo tutto ciò che è soverchiante,
incontenibile é “pelòrios”: Marco non fugge le cose, non le nega, non le
connota tautologicamente, Lascia il loro Senso alla Densità delle Parole, che
le varie realtà, da Analizzare, Richiedono e al loro Ordine sul foglio bianco.
Ottobre è, pur, la stagione della Nostalgia! Nella pagina dove campeggia 28
ottobre 1928, è postata una “Foto che è tutta una suggestione” E nostalgia, e
rimpianto. E ricordi.”. A far da quella data, “era la ‘ferrovia’ a funzionare
sulla Strada Comunale Bitonto –Santo Spirito (nel 1928, santo spirito era,
ancora, frazione di bitonto; lo diventerà di bari nel 1938 per decreto del “dux”)
per i 26mila potenziali bagnanti bitontini all’assalto delle spiagge ancora
selvagge del borgo sull’Adriatico.”. Ricordi ? Poche volte MI servii di quel trenino,
in quanto mio Nonno aveva un Bellissimo Cavallo Bianco che, amorevolmente, da
Lui guidato, al galoppo trainando un elegante calesse, trasportava ME, i miei
fratelli e sorelle alla marina di santo spirito e, non rare volte, a quella di
palese, non prima, però, che IO, inviato dal Nonno sul terrazzo, dal quale era
Inebriante la Visione del verde degli ulivi degradanti verso il mare, non Gli
portassi il responso che il ceruleo licore non fosse agitato. Che il mare non
soffrisse d’irrequietezza (e, pur, se lo fosse stato per tacita intesa con mio
Nonno esso era, sempre, in calma piatta) non interessava a mio Nonno, ma ai
miei genitori, ognora, sbatacchiati da iperbolica ansia. Il cavallo Bianco del
Nonno non amava farSi sorpassare da alcun mezzo di trasporto e “s’attaccava di
mani” (espressione gergale), quando, innervosito dallo stilettante fischio del
trenino, Volava, letteralmente, per ImmergerSi, il Nonno, follemente,
Consenziente, col calesse, con il suo Nocchiero, con ME e i miei germani
nell’acqua non alta di una sabbiosa spiaggetta nelle vicinanze del porto di
santo spirito. Ricordi ? Il giorno dell’inaugurazione della tratta “Bitonto – Santo
Spirito, alla fine, si fa per dire, del viaggio, posta nelle vicinanze del gazebo in legno “Qui si
gode”, ben visibile nella foto, di cui sopra, il trenino con tutte le autorità
in groppa, per un guasto meccanico, secondo la versione ufficiale, finì in
mare. La notizia diventò, “statim”, virale, e Achille Beltrame Compose una sua
“Tavola” sulla “Domenica del Corriere” in cui Disegnò con Icastica Cromatica
Vivacità l’increscioso, per i renzini del tempo e i loro servi, accaduto, sì
che, a disdoro di essi, non si cantava “tutti al mare”, bensì, “tutti nel
mare”. Il Guidatore del trenino, di Nome Tullo, che, poi, S’Avvicendò a colui
che, secondo una ulteriore versione
ufficiale, malaccortamente, non era stato in grado di impedire il naufragio del
trenino in mare, divenuto mio Amico, MI Partecipò che l’incidente, per fortuna,
senza vittime, ferroviario, non era stato causato dall’imperizia del collega
suo, e, neanche, da un guasto meccanico, ma era stato preparato, organizzato da
un gruppo di anarchici, di cui egli faceva parte. Ricordi ? Il Sig. Tullo era
un Patito della Lettura e guidava il trenino con un occhio sul percorso di esso
e un occhio sul Libro che, immancabilmente, aveva tra le mani durante tutto il
tragitto. Era un Salveminiano di ferro; Amico dell’Insigne Storico e, forse,
era Uno dei Pochi in Italia che avesse l’indirizzo statunitense dell’Esiliato
Molfettese. Un giorno il Sig. Tullo MI fece Leggere la copia dattiloscritta di una Lettera
di Salvemini a Giovanni Modugno, il cui “Incipit” Perentorio, che non Ammetteva
ambiguità di interpretazioni, era il seguente: ”Il mio Cristianesimo si Limita
alla Croce”. Pertanto, i Fondamenti della Laica Religiosità (i miei 25 Lettori
Perdonino la Paradossale, ma non troppo, Associazione tra un aggettivo e un sostantivo,
apparentemente, incompatibili) di Salvemini erano i Vangeli che Si Occupano,
prevalentemente, quasi, delle Parole, delle Opere di Gesù, non il “paolinismo”
delle lettere di paolo di tarso in cui
si definiscono i principi dottrinali del valore salvifico della presunta
incarnazione, passione, morte, resurrezione di un uomo di cui è, addirittura,
dubbia l’esistenza storica, ripresi dalla “catechistica” cattolica nei millenni
successivi. Inoltre, Salvemini Rinfacciava ai cattolici l’adesione alla politica colonialistica di giolitti (una
”voragine di sabbia” era la Libia per Salvemini, non a conoscenza, in Verità,
che nel sottosuolo libico era concentrata una interminata quantità di petrolio
e della migliore qualità) e il loro
prendere di mira i Libici, ché Mussulmani. Infine, a differenza di Giovanni
Modugno, per Salvemini erano insufficienti le caute aperture di leone XIII e
della sua “Rerum novarum” per Risolvere,
drasticamente, lo sfruttamento dell’uomo sull’Uomo e le imperdonabili
ingiustizie sociali. Aperture interclassiste (una ridicola boiata la immaginata
collaborazione tra classi, economicamente, socialmente, diseguali), approvate
da Giovanni Modugno, che, poi , ispirarono la cinquantennale politica della
“d.c.”. Cosa dire, in aggiunta, della sponsorizzazione al provveditorato degli
studi di bari da parte di Giovanni Modugno, in sostituzione di Tommaso Fiore,
Socialista, di un ducetto fascista, autore di un saggio in cui si glorificavano
le ”leggi razziali” ? Per queste non irrilevanti Motivazioni Dissento, pur
Riconoscendo che tra Salvemini e Modugno, Scorressero Rivoli di Personale,
Umana Simpatia, dall’Amico Marco che si potesse “fare sintesi, andando oltre”,
tra due Impostazioni Culturali, Ideologiche, Politiche, non solo “diverse”, ma,
irrimediabilmente, inconciliabili. Di carmine gallo, che Marco associa a
ottavio leccese e a Domenico Saracino, non parlo per non correre il rischio di
sparare sulla “croce rossa”, mentre di Domenico Saracino non accettai e non
accetto il suo gran rifiuto della rinnovata Sindacalità di bitonto, dopo essere
ad Essa stato Elevato a furor di popolo, non per viltà, come celstino V, ma per
eccessivo Amore della Virtuosa Coerenza. E ciò che eccede non è, mai, positivo.
Quale personaggio Lo surrogò ? Ricordi ? Nostalgia ? Aveva la mia famiglia una
villetta a santo spirito “posita” dopo il ristorante “l’aragosta” e lo
stabilimento balneare per i dipendenti dell’aeronautica militare. Al di là
della nostra villetta finiva non solo la strada asfaltata, ma la strada “tout
court”. Oltre, una mirabile fuga di non raggiungibili calette, piccole
insenature. Un giorno ero in compagnia del Professore Siena, che aveva una casetta
accanto alla nostra villetta; che MI Impartiva Lezioni di Disegno, in quanto
nei tre anni del ginnasio inferiore fui, immancabilmente, in Disegno rimandato,
quando vedemmo avvicinarsi due Amici del Professore Siena, Vocianti, Urlanti.
Erano il Pittore Francesco Speranza e il Fratello, Illustre Docente di
Matematica al Liceo Scacchi di bari. Perché le Urla, la Protesta, l’Invocazione a fermare
i lavori da parte dei Due ? Quel giorno iniziavano le opre della continuazione
del lungomare di santo spirito fino al “lido lucciola”. Insomma, negli anni ’50
del secolo scorso per tutto lo stivale iniziava il saccheggio delle sue coste
con colate di cemento che avrebbero distrutto gli Arabeschi Sublimi che Madre
Natura aveva Ricamato su di esse. Francesco Speranza aveva Vaticinato l’immane
scempio: ecco, quindi, il Carattere Testardo, Dolce, Disperato della sua
Pittura che, secondo Marco, ha la sua Epifania ”nelle lievi inquadrature, un
cirro, un aquilone, un cielo e/o il mare sereni, miti figure di proletari e
architetture solenni e paesaggi composti in una orizzontalità non debordante”.
Per Sfuggire alla rigida, anonima ripetizione lineare del ”progresso”
cementizio e Conservare, almeno nei suoi Quadri, Paesaggi, “Habitat. Strappati”
alla “Singolarità” della Tradizione, della Storia, del Lento, Divino ”cavare
lapidem non celeriter” della risacca.