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L’Elzeviro/Lettera al tifoso d’una squadra di calcio, che non sa che il Pallone non è più lo stesso

Splendori e miserie di un mondo che va precipitando in un abisso irreversibile

Gaetano Avena by Gaetano Avena
14 Febbraio 2016
in Cronaca
L’Elzeviro/Lettera al tifoso d’una squadra di calcio, che non sa che il Pallone non è più lo stesso
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EPISTOLA A UN TIFOSO DI UNA
SQUADRA DI CALCIO

In – grege tifoso,
a dire il vero, ai miei 25 Lettori
non serve che IO ti “cognomi” e ti nomini: sei uno dei tanti, tanti, tanti,
sparsi nei sette o nei sei o nei cinque o nei quattro continenti, che seguono
il “calcio”, certamente, lo sport più popolare e, maggiormente, praticato a
livello planetario. Tu sei l’uomo folla tipico, per eccellenza, che nelle
piazze sterminate leva, levò, leverà alti ragli agli omini raglianti, altrettanto:
dai  balconi parolette di morte e
progettini di stragi mondiali; dalle finestre pruriginose litanie d’indistinto
“j’accuse” a vittime e carnefici, non foss’altro perché per millenni coloro che
alla finestra li precedettero accusarono le loro vittime di averli costretti ad
essere carnefici ché non ubbidienti, non remissivi a loro, vicari di colui che
lassù “tutto puote ciò che vuole o vuole ciò che puote”.
“Sed” sei l’uomo folla,
per antonomasia, negli stadi, oggi, nei circhi, ieri. Manifestamente, se sei un
burino da quattro soldi, senz’arte, né parte, perennemente, gettato nei “bar
dello sport” impegnato a dire ciò che ti frulla nel cranio, per sincerità,
sebbene in esso alberghi poco o niente; ”in interiore tuo”, ove solo può
arrivare (sto indossando i panni del credente) il “laser” di “colui”, testé
menzionato, che di noi sa ciò che noi non sapremo mai, e di cui, magari,
verremo a conoscenza in eccezionali, impreviste circostanze. “De his rebus
anomalis contionatur” sant’agostino nelle “Confessioni”.
Infatti, egli afferma
che l’uomo, quando è in mezzo alla folla, si trasforma. IO, invece, Preciserei,
di rimando, che il tapino si esprime, fa ciò che la sua interiorità, avendo il
”super io” affievolito il suo  controllo,
in quanto “semel in ea hora atque in eo loco licet insanire”, gli detta e che
in altre occasioni non potrebbe dettargli per timore del biasimo moralistico da
parte della collettività, normatrice di ogni umana istintualità, all’ ”io”
suggerendo di scaraventare nell’”inconscio” ciò che alla morale di essa, al
limite, da essa stabilito, della decenza si oppone. Comunque, seguendo il
racconto del vescovo di ippona, veniamo a sapere che un suo amico s’era, incredibile
a dirsi, fatto incantare da una pugna gladiatoria, nonostante, assolutamente,
refrattario a qualsiasi spettacolo di sadica violenza dell’uomo sull’uomo.
L’amico era solito ripetere: ”Potete trascinare in quel luogo e collocarvi il
mio corpo, ma non potrete puntare il mio spirito e i miei occhi su quegli
spettacoli”. Ma non andò così: il giorno in cui il circo lo ospitò, l’amico,
nonostante avesse chiuso gli occhi per non vedere la ferocia umana, che
nell’arena si rivelava, non poté resistere allo stordimento di tutte le sue
facoltà raziocinanti, che il clamore efferato della folla gli procurava, e,
alla fine, insieme ad essa s’inebriò di una voluttà sanguinaria, conclude
sant’agostino.”Etiam”, Elias Canetti  ha
Studiato il processo che causa l’annullamento della mente del singolo individuo
nella massa: l’uomo dalla civiltà dirozzato, normalmente, scostante nei confronti
dell’altro, sì che, frequentemente, bada ai fatti suoi, isolandosi,
improvvisamente, perde la paura nei confronti degli sconosciuti con i quali
procede “gomito a gomito”, provando un inspiegabile senso di sicurezza,
protezione, un enorme sollievo nel disordine della massa. Una sensazione di
liberazione collettiva serpeggia tra gli spettatori degli spettacoli calcistici
(nei quali, oggi, rispetto al passato, latitano Gesti Tecnici d’indubitabile
Bellezza e Fascinazione, come il ”passo doppio” di Biavati, i “colpi di tacco”
di Gunnar  Gren, i ”lanci da 40 metri” di
Niels Liedholm, l’”immensa classe” di Boniperti, le ”rovesciate” di Parola e
di Piola, ecc., ecc., ecc, mentre sono abituali sgambetti micidiali, criminali
gomitate, isterismi, atteggiamenti schizoidi,  sconsiderato eloquio razzista da parte di
calciatori e, perfino, da parte di tecnici, dei cosiddetti ”maestri di calcio”,
che dovrebbero Essere Specchiati Esempi dell’Arte di Saper Vivere e di
Convivere con il Prossimo), in quanto il momento agonistico, la competizione
tra 22 corpi (ahimè, non di rado, solo corpi “sine cerebro”, per Parafrasare Fedro)
in mutande ghermisce la folla a tal punto da catturarla in un unico corpo,
anche, codesto, non rare volte, “sine cerebro”. Canetti Afferma che, durante le
partite di calcio, la folla è in massima fusione, quando raggiunge il livello
del delirio collettivo in “condizioni di
pace”. Canetti Conclude che “il calcio è il retaggio di antichi riti tribali;
di una guerra territoriale faticosamente civilizzata. Attacco, difesa, vittoria
sconfitta. Nel calcio c’è la licenza di regredire verso l’aggressività, ma
senza nuocere”. Purtroppo, oggi, dobbiamo, amaramente, constatare che
l’aggressività, usata sul tappeto verde, nuoce con elevata iterazione, sì che un
calciatore entra in campo con le sue gambe, ma non sa se ne uscirà in barella.
E sono oggetto dei cronisti della “nera” le inenarrabili “bravate” (nel
significato manzoniano) delle opposte fazioni di delinquenti sugli spalti e
all’esterno degli stadi, prima e dopo un incontro che, spesso, è scontro di
calcio. O in – grege tifoso di una squadra di calcio, quanto appari indegno tu
sugli spalti e non solo e quei mercenari, 11 opposti ad altri 11, che si
scambiano invettive, sputi, colpi agli stinchi di una efferatezza inaudita nel
mentre, malamente, rincorrono o calciano un pallone da una parte all’altra del
terreno di gioco, dell’Interessamento di non pochi Artisti e Poeti al “gioco
del calcio” che a te, oggi, permette di dare sfogo alle frustrazioni, che il
potere induce, somministra nel tuo cuore e nella tua mente (altro che
civilizzazione faticosa dei nostri tempi, di cui Parla Canetti!
La plebaglia,
di cui tu fai parte, da roma fino alla nostra contemporaneità erompe la sua
rabbia, umanamente, nei circhi e negli stadi, mentre il Popolo Greco, avvilito
dal pugno disonesto dei potenti, Compiva, Realizzava la sua Catarsi, Si
(Dis)umanizzava Assistendo alla Messa in Scena delle Tragedie dei Divini
Eschilo, Sofocle, Euripide)  e ai
maldestri, oggi, “pedatori della pelota” di condurre con ignominia una vita da
nababbi, di ingombrante lussuria, non quella di Scrupolosa, Candida Sobrietà
degli Atleti Veri. Numerose sono le Opere d’Arte sul calcio di Artisti del XX
secolo, su tutte il “Logo” di “Espana 82” di Mirò e alcune Composizioni di
Poeti Italiani, che hanno Narrato le ineffabili Emozioni che Esplodono dal
mondo del calcio, sincrono, spesso, con quello della Vita e, quindi, metafora
di Essa. Nel novembre del 1821 Giacomo Leopardi Scrisse “A un vincitore nel pallone”.
Giacomo Si Riferisce al Giovane Carlo Didimi di Treia, Campione famoso nel
gioco del pallone: ”…Attendi, attendi, /Magnanimo campion… /…attendi e il core
/Movi ad alto desio. Te l’echeggiante /Arena e il circo, e te fremendo appella
/Ai fatti illustri il popolar favore; /Te rigoglioso dell’età novella /Oggi la
patria cara / Gli antichi esempi a rinnovar prepara.”. La Vita, Reclama
Leopardi, va Vissuta come un gioco, come il calcio, insomma, giocata. Essa deve
essere, essenzialmente, “agire”, non importando la teleologizzazione
dell’”agire”. Il rischio, poi, contestuale all’ ”agire”, offra la possibilità
di salvarsi dall’infelicità e dalla noia. “nostra vita a che val ? Solo a
spregiarla.”. Di Umberto Saba sono le “Cinque poesie sul gioco del calcio”:
“Squadra paesana”, “Tre momenti”, “Tredicesima partita”, “Fanciulli allo
stadio”, “Goal”: ”Il portiere caduto alla difesa /ultima vana, contro terra
cela /la faccia, a non veder l’amara luce. /Il compagno in ginocchio che
l’induce, /con parole e con mano, a rilevarsi, /scopre pieni di lacrime i suoi
occhi.”. Grande Poesia da piccole Storie di piccoli, grandi Uomini nella
domenica calcistica! Per Pasolini il gioco del calcio ӏ un vero e proprio
discorso drammatico… Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente
poetici: si tratta dei momenti del goal. Ogni goal è sempre un’invenzione… ogni
goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Anche il
“dribbling” è di per sé poetico. Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso
da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare”.
Infine, Fernando Acitelli nel 1998 Pubblicò 200 Poesie dedicate ad altrettanti
calciatori, dai più famosi, ai brocchi. Ecco, la Poesia dedicata a luis silvio
danuello, misterioso brasiliano che disputò in “serie A” 9 partite con la
“Pistoiese”, non segnando, mai,  un goal
e, mai, riuscendo ad intercettare durante le partite, da lui disputate, un
pallone: ”A Bahia fu la spiaggia a tradirti. / Vistoti palleggiare a ritmo di
samba, / lo stolto talent -_scout… /…abusò in parole solenni / portandoti in
Italia. /..e quasi fosti accostato /a Garricha. /…visto che non giocavi mai,
presero /a dire che eri troppo giovane.”. In – grege tifoso di una squadra di
calcio, il calcio in passato era Passione, era Felicità, era Momenti di Gioia.
Ecco, ancora, un’altra Strofa della Poesia “Goal” di Saba: “La folla- unita
ebbrezza – par trabocchi /nel campo. Intorno al vincitore stanno, /al suo collo
si gettano i fratelli. /Pochi momenti come questo belli, /a quanti l’odio
consuma e l’amore, /è dato, sotto il cielo, di vedere.”. La folla ? I filmati
televisivi ci documentano, domenicalmente, che essa, se ai tempi in cui Saba la
Percepiva era “unita ebbrezza”, pare, oggi, “unita violenza”. La Passione
Permeava tutti: i bambini, gli adolescenti, i giovani, i giocatori dilettanti,
i professionisti. L’Adolescenza “d’antan” giocava ovunque, per le strade, nei
cortili, sui campi di calcio in terra battuta e non era inconsueto che fossero
in pietre battute. Non scarpette nate, fabbricate per giocare al calcio, “sed”
qualsiasi foggia di scarpe, alla ben meglio, adattate per giocare, con molto
spirito di sacrificio, al calcio. E le magliette ? Comperate, devolvendo la
sparagnina paghetta dei genitori all’acquisto di qualcosa che potesse
permettere ai giocatori in campo di distinguersi tra compagni di squadra ed
avversari. Dice Frey, un portiere dell’”inter”, che a 38 anni (per il ruolo che
ricopriva non erano e non sono troppi) ha appeso le scarpe di calcio al
classico chiodo: ”Negli ultimi anni mi sono accorto di non appartenere più al
mondo del calcio. Quando ho cominciato a giocare io c’era più rispetto. I
ragazzini, poi, dagli 11 anni in su hanno in testa cose sbagliate. Pensano di
essere, già, Messi o Cristiano Ronaldo. Vogliono la macchina grossa,, le scarpe
con il nome sopra,, non pensano al calcio. Ma io non so cosa darei per tornare
all’età in cui pensi soltanto a portare il pallone e a giocare con gli amici”.
E quei ragazzini, ai quali la selezione naturale o sociale permette di
ascendere all’empireo del calcio miliardario, danno il meglio di sé, quando
riescono a firmare contratti di scandalosa consistenza pecuniaria. E’ una
vergogna che, con rare eccezioni, le squadre italiane (ma non solo), nonostante
le ragguardevoli cifre guadagnate, presentino di solito bilanci in profondo
rosso a causa di spese operative e di gestione di gran lunga superiori ai
ricavi. Le stratosferiche retribuzioni dei calciatori e dei tecnici hanno un’
incidenza (negativa) del 57% sul complesso degli introiti delle società di
calcio professionistico e semiprofessionistico. Di conseguenza, prassi
contabili di improbabile liceità etica e legale per “aggiustare” i bilanci:
iscrizioni di plusvalenze derivanti dalla permuta di giocatori sopravvalutati o
dalla cessione del marchio a società appartenenti al medesimo gruppo aziendale.
Il sistema calcio indebitato può aprire, se non ha, già, aperto tutte le porte
e tutte le finestre alla criminalità organizzata. Oltre alle motivazioni di ordine
economico e finanziario, investire nel pallone può consentire ai criminali di
garantirsi un consenso tra le masse di tifosi e di poter stabilire relazioni,  pericolosi contatti con i rappresentanti
istituzionali delle comunità in cui le squadre, da loro, diciamo, salvate dal
fallimento, hanno la sede legale. Il riciclaggio dei “soldi sporchi”, per
sanare i debiti delle società di calcio, 
rischia di minare alla base un’attività sportiva che nelle sue Finalità
precipue dovrebbe Perseguire irrefutabili, non Negoziabili Ideali di Integrità
e di Correttezza. Inoltre, se il calcio è, ormai, uno sport, dal denaro
guastato, è inevitabile che in esso fioriscano indicibili forme di
opportunismo. Ad esempio, nelle competizioni internazionali, per la squadre
italiettine, ma non solo, non è importante lo spettacolo, il gioco, ma l’andare
avanti il più possibile in esse, ché s’incassano milioni di euro. Si veda “La
Critica della Ragione Cinica” di Peter Sloterdijk.”Cinismo” è, oggi, sinonimo
di insensibilità, di umana disponibilità a farsi complice di qualsiasi cosa a
qualsiasi prezzo. Ben altra Natura Possedeva il “Cinismo” degli Antichi, o
quello che Nietzsche chiamava “cynismus”, una forma estrema di autodifesa che
opponeva alla minaccia dell’insensatezza sociale un nucleo irriducibile di
sopravvivenza, la sfrontatezza di una Filosofia Vissuta. Se il
“Cyinicus”Diogene Viveva in una botte, il “cinico” moderno aspira al potere, al
denaro, al successo. Infine, in – grege tifoso di una squadra di calcio, con
rammarico, di continuo, MI Chiedo: dovresti essere, anche, tu di dura cervice,
se riesci a mitizzare calciatori e tecnici che, per brama di lussi da emiri e
sceicchi, hanno prosciugato, prosciugano, quasi, tutte le risorse finanziarie,
di cui il mondo del calcio disponeva e dispone. Risorse, buttate la vento, che,
invece, sarebbero servite, servirebbero a restaurare impianti sportivi
fatiscenti o a costruirne di nuovi; per rivitalizzare vivai, palestre, scuole
di calciatori in erba, ove avrebbero dovuto, dovrebbero trovare ospitalità, soprattutto,
Creature a rischio, che un questore in un’intervista televisiva ha definito:
“rifiuti sociali” e un assessore del comune di bitonto: “sterco”. E i
“tatuaggi” con cui vandalizzano il loro corpo i tuoi pupilli e il crine a mo’
di galli, nemmeno ruspanti, ché allevati nelle strettoie sottoculturali dei
“trend”, non sono la mondializzazione, la globalizzazione della loro
imbecillità ? Essi e tu siete “animalia”, esseri viventi, ma non Pensanti,
senza l’autonomo Possesso di voi stessi, “a somiglianza, Lamenta Seneca, degli
oggetti che galleggiano nei fiumi, non vanno da sé, ma sono trasportati”.

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