La parola data ad un bambino è un patto sacro che va ossequiato col massimo impegno. Lo sa bene Gianluca Lapadula, punta di gran fatica, curriculum corposo e buon talento, che oggi fa le fortune del Cagliari di mister Claudio Ranieri. Sabato scorso, contro il Bari di Mignani, sono bastati centoventi secondi all’attaccante italiano – fattosi peruviano per materna via – per segnare il suo decimo gol in campionato. E così, l’esultanza è stata necessariamente teatrale: posa da pinguino, mano sulla fronte come per salutare un grande ufficiale e linguaccia malandrina d’intesa. Ma con chi?, si saranno chieste le decine di migliaia di tifosi sugli spalti dell’astronave “San Nicola”. Ma con il piccolo grande Emanuele, stupendo bimbo bitontino che, con la sua famiglia – già, perché fra papà e nonno, per non parlare del bisnonno, il calcio è davvero passione autentica -, aveva abbracciato il calciatore rossoblù in ritiro, qualche ora prima. E, fra una battuta e un sorriso, la promessa da mantenere assolutamente: se segno, ti dedico il festeggiamento che tu mi dici di fare. E così è stato. Spontaneamente, sotto gli occhi di tutti. Perché un gesto di gioia – la massima, nel calcio – può divenire una carezza al cuore di chi ha stretto con te un patto segreto…