Forse, era scritto da qualche parte che dovesse andare così.
Una morte assurda, quella che ha ghermito, ieri pomeriggio, l’architetto bitontino Gianpio De Meo.
Non entreremo nei dettagli, che pure sono tremendi e beffardi.
Ci basti qui stringere in un abbraccio affettuoso i suoi cari, ora che saranno in una voragine di dolore.
Però, Gianpio non può andarsene con un funerale e via.
Peggio, ieri, dopo che si era diffusa la tragica notizia, subito era partita la stupida corsa a trovarne traccia sull’unico mondo che ti dà oggi lo status di essere vivente, su Facebook. Non rintracciandolo, molti si guardavano e si interrogavano stupiti.
Bene, Gianpio, persona seria anzichenò, era, innanzitutto, una mente eccelsa.
Come poche ce ne sono nella nostra città.
Aveva un modo di interpretare la sua professione di architetto che definirei “politico”, nel senso etimologico e quindi più puro del termine.
Autocad e tecnigrafi non dovevano servire solo per creare progetti, ma anche e soprattutto per dare corpo geometrico a idee – già, l’arch. De Meo era idea sempre in movimento, con un sorriso sornione – che avrebbero dovuto avere un riverbero immediato e positivo su tutta la comunità.
Di qui, credo, anche il suo impegno ambientalista.
Il tutto sempre illuminato da una sottile e pungente ironia.
Ricordo quando, durante uno degli incontri di “Pianifica Tu” presso il Teatro “Traetta”, prese parola proprio lui per illustrare il suo vecchio sogno, che era diventato un appassionato pallino: il recupero (ma vero, serio) della Lama Balice.
Il suo piano di rivalutazione era, non c’è manco bisogno di scriverlo, bello e coinvolgente, nel senso che legava al vallone del Tiflis tutta la città, in uno sviluppo armonico e accattivante. Tuttavia, Gianpio aggiunse puntute e veridiche parole: “Parco Regionale dal 2007, in realtà ha solo prodotto una montagna di documenti ed un fiume di danari sprecati“.
La schiettezza, ancora una volta, altro vessillo del suo agire.
Per questo, al di là del retorico “de mortuis nihil nisi bonum” (cioè, dei morti non si può che dir bene), vorremmo che la città di Bitonto e l’Ordine degli Architetti ricordassero degnamente un figlio ed un iscritto di doti sì rare e lucenti.
Punto.