di Alice Saponieri, Marianna Cinelli (IV C)
“It’s time to break the chain. One billion rising” (è ora di spezzare la catena. Oltre un miliardo di donne e bambine si innalza) recita la canzone sulle cui note le classi prima e seconda A dell’indirizzo linguistico hanno performato un flash mob per inaugurare l’evento. Accompagnando l’utilizzo della musica e della danza con palloncini di colore rosso e alcune celebri frasi, i ragazzi e le ragazze hanno accolto il vicequestore Vittorio Di Lalla, ospite del liceo e gradito interlocutore di una significativa rappresentanza di studenti.
Sorpassando le scarpette rosse poste all’ingresso della scuola ed una sedia ugualmente dipinta di rosso per l’occasione, simboli della lotta per i diritti delle donne e contro la violenza di genere, nella palestra dell’istituto alcune classi quarte e quinte hanno poi assistito ad una interessante conferenza, tenuta dal dirigente del commissariato, per discutere delle possibilità di contrastare la violenza di genere.
Ad introdurla le efficaci parole della Dirigente Scolastica, prof.ssa Francesca Rosaria Vitelli. “Siamo tutti coinvolti come singoli individui, famiglie e istituzioni” -ha precisato la preside- sottolineando l’importanza di parlare del rispetto dei diritti altrui anche tra i banchi di scuola.
Il vicequestore Di Lalla ha poi dato inizio al suo intervento alternando racconti di casi concreti in cui si è imbattuto nel corso degli anni all’elenco delle diverse forme di violenza che limitano la libertà personale dell’individuo, quali quella fisica, quella verbale e quella psicologica, comprese tutte sotto il termine penale di “atti persecutori”. Questi comportamenti, alcuni dei quali apparentemente innocui, se ripetuti nel tempo diventano pericolosi, con conseguenze piuttosto gravi nello stato psico-fisico di chi li subisce.
Ecco perché il vicequestore ha ribadito che la soluzione più adatta si è rivelata la denuncia, intesa come assunzione di consapevolezza e apertura al dialogo: invece che somatizzare, fingendo di considerare normali i comportamenti violenti, come veniva fatto in passato, è bene infatti parlare del problema con chiunque risulti disponibile affinché la giustizia faccia il proprio corso.
“Denunciare significa lanciare un grido di aiuto” ha poi continuato l’esperto, distinguendo i diversi provvedimenti che la polizia attua in casi di violenza. Ha sottolineato l’importanza che queste situazioni rivestono all’interno delle forze dell’ordine, che dal 2019 definiscono legalmente i reati violenti “di codice rosso” e ad essi riservano una priorità assoluta, prestando particolare attenzione ad ogni più piccolo avvertimento. L’obiettivo è infatti quello di proteggere la vittima affinché si senta libera di denunciare, senza sentirsi giudicata.
Un primo provvedimento che si può ottenere in questi casi è la diffida, in seguito ad una iniziale segnalazione della vittima. Per i casi più gravi vi sono poi l’ammonimento del questore, sempre in seguito ad una richiesta di quest’ultima, e quello urgente, che è direttamente accordato da questore e magistrato. Infine, ancora più incisiva è la querela, che prevede un successivo processo penale per l’imputato ed eventualmente un’incarcerazione.
“Quando si denuncia, però, si deve avere il coraggio di non tornare indietro” ha rimarcato il vicequestore Di Lalla, ricordando la difficoltà che molte vittime incontrano nel tentativo di evitare di ricadere nel tunnel delle minacce o in atteggiamenti di pietà nei confronti del colpevole, magari nel timore di “rovinare” la figura maschile o di non essere credute da una società dalla mentalità ancora troppo spesso misogina. A ciò si aggiunge l’importanza dell’ambiente che circonda la vittima: è dovere di chi è testimone, infatti, denunciare, anche anonimamente, e aiutare la vittima a fare lo stesso, esaminando oggettivamente la realtà della situazione tossica vissuta.
Il vicequestore, con i dati alla mano, ha poi parlato dei femminicidi come omicidi di donne in quanto tali, e quindi in quanto considerate incapaci di ottemperare al ruolo tradizionale a loro affidato. Nel 2021 su 119 omicidi di donne, 103 seguivano a violenze domestiche e in 70 casi si trattava di femminicidi. In questo panorama numerico sconfortante una nota positiva è costituita da dati come quello degli ammonimenti comminati negli ultimi 3 anni: su 7500, solo 1 non ha sortito effetto, a dimostrazione dell’efficacia di questi provvedimenti.
Dunque l’unica strada da percorrere per far sì che la violenza sulle donne possa essere davvero contrastata è uscire allo scoperto per attivare canali di supporto ufficiali: insomma, “parlare è il primo passo per cominciare a risolvere il problema.”