Per lavoro, Vincenzo aveva girato in lungo e in largo lo Stivale delle meraviglie ed aveva maturato una così grande passione per l’arte e la geometria che era diventato architetto. Questo amore per il bello, lo sublimava soprattutto per la cura del suo borgo natio, dal cui fascino volentieri si faceva conquistare. Al tramonto degli anni Novanta sino agli albori del nuovo millennio, eravamo insieme in quella fucina di talenti che era il mensile Primo piano. Lui provava a raccontare lo stupore per la nostra storia di pietra con un più che nobile intento divulgativo.
Sì, per lui il nostro territorio doveva essere valorizzato a dovere, non solo a colpi di vacui e tronfi annunci. Vincenzo aveva il cuore buono, oltre che sensibile, come quello di un passerotto, che, curioso di tutto, vola ovunque e non si capacita del perché nel mondo ci sia tanto male. Così, ogni tanto, quando qualcosa lo indignava, non gli scivolava via come nulla, ma, anzi, gli lasciava una ferita invisibile nel petto. Non ci incrociavamo da tanto, eppure il pensiero spesso ritornava ai nostri dialoghi accorati.
Questa mattina, ho rivisto i suoi occhietti in una foto sopra il solito, ultimo manifesto. È lì, il caro Vincenzo, che si chiede ancora perché tutto questo male travagli il mondo…