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Imprenditore bitontino denuncia l’amministratore giudiziario e alcuni finanzieri che avevano sequestrato la sua azienda

I fatti contestati riguardano delle presunte irregolarità nella vendita dei veicoli presenti all'interno dell'autoconcessionaria sequestrata nello scorso settembre

Lucia Maggio by Lucia Maggio
24 Novembre 2019
in Cronaca
Imprenditore bitontino denuncia l’amministratore giudiziario e alcuni finanzieri che avevano sequestrato la sua azienda
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Una vicenda praticamente senza fine. Parliamo di un imprenditore bitontino che, nei giorni scorsi, ha depositato un atto di denuncia – querela indirizzata al Sostituto Procuratore del Tribunale di Bari, contro l’amministratore giudiziario cui è stata affidata la sua azienda e alcuni finanzieri che eseguirono le operazioni di sequestro. Ma andiamo con ordine.

I fatti del settembre 2019. Era lo scorso settembre quando, nell’ambito dell’operazione “Simsalabim” i finanzieri della Tenenza di Molfetta hanno proceduto all’esecuzione del provvedimento di confisca del patrimonio nei confronti di un pregiudicato bitontino, il 42enne M.C., già condannato in via definitiva per furto, ricettazione e falso. Il Provvedimento, emesso dal Tribunale di Bari riguardava il capitale sociale ed un’autoconcessionaria (veicoli compresi) di vendita di autoveicoli nuovi ed usati, due autoveicoli personali, due immobili (uno appartenente alla moglie di M.C. ed acquistato prima del matrimonio), sette terreni, tre conti correnti bancari e un libretto postale, otto polizze assicurative e un deposito titoli, per un totale di 2 milioni di euro. Le indagini della Guardia di Finanza eseguite secondo il Codice Antimafia (contenuto nella normativa dl n. 159/2011) hanno ritenuto il pregiudicato come «socialmente pericoloso – era scritto in una nota ufficiale – dedito abitualmente a condotte delittuose grazie alle quali aveva accumulato ricchezze frutto di attività illecite».

La denuncia dell’imprenditore. A suo dire, nel periodo intercorso fra il sequestro e la confisca (nel periodo marzo 2018 – settembre 2019), sarebbero state commesse delle irregolarità che avrebbero avvantaggiato parenti e amici dell’amministratore giudiziario e di tre militari.

Già il mese successivo al sequestro dell’autoconcessionaria con sede a Molfetta (in via Giovinazzo), – stando alla denuncia dell’imprenditore – l’amministratore giudiziario avrebbe venduto una delle auto (ad un valore nettamente ribassato) ad un amico di uno dei finanzieri che avrebbe partecipato al sequestro.

In particolare la società, quando fu acquistata da una ditta individuale, aveva già al suo interno una Peugeot Biper e un Fiat Doblò: “il passaggio di proprietà non veniva formalizzato lo stesso giorno, peraltro sabato”. Quindi, al momento del decreto di sequestro “su esplicita indicazione” di un militare, queste venivano consegnate al precedente proprietario dell’azienda “senza che di tale attività ne fosse fatta menzione degli atti e nei verbali di esecuzione del sequestro”. Un altro caso ha riguardato una Nissan che, in occasione del sequestro, era dal gommista (amico di un finanziere, a quanto paventa la denuncia) per una riparazione: “l’autovettura del valore commerciale all’epoca di circa 4 – 5 mila euro, è stata venduta dell’amministratore ad un prezzo di 800 euro”.

Ad un altro finanziere, sempre secondo la denuncia, sarebbe stata venduta un’altra autovettura (a chilometro 0), alla metà del prezzo di mercato: si tratterebbe di una Alfa Romeo venduta “al prezzo di dieci mila euro, che aveva all’epoca un valore di mercato di venti mila euro”. Altre due auto, infine, sarebbero state vendute al cognato e alla cognata dell’amministratore. Si tratterebbe di una Alfa Romeo e di una Smart: “inoltre – recita ancora la denuncia – l’amministratore” avrebbe affidato a “suo fratello l’esecuzione di lavori meccanici sulle autovetture interessate dalla procedura di prevenzione”.

Un ultimo caso, poi, riguarderebbe una Fiat 500 venduta a 5400 euro ad un uomo di Manfredonia che avrebbe dato “in permuta una Mini Cooper”, ma su un documento scritto a penna il prezzo sarebbe stato modificato “pattuendo una cifra di sei mila euro”. Dell’auto data in permuta però pare“non vi è più traccia”.

Ora saranno i magistrati a rilevare l’eventuale rilevanza penale dei fatti contestati. Intanto, il denunciante paventando i reati di “omissioni in atti d’ufficio, falsità ideologica, falsità materiale e per tutti quegli altri ravvisabile nella specie” si è detto pronto – qualora ci fosse “una punizione dei colpevoli” – a dichiararsi “parte civile nell’instaurando procedimento penale”.

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