Il prete è un uomo che si accoccola sul ciglio dell’anima dei suoi fedeli per ascoltarne dubbi e inquietudini. Guidato dalla luce della Fede, si fa egli stesso pastore per indicare il sentiero che conduce a Dio, pur in mezzo alle mille tempeste della vita. E sa che deve avere parole di balsamo per lenire i dolori più fondi che il transito fugace quaggiù ci riserva.
Ma alle ferite del suo cuore chi ci pensa? Celebra gioie e tristezze quasi ogni giorno, per dire che la nostra esistenza è questa altalena bellissima e atrocissima, ma poi alle sue lacrime che pesano il doppio chi bada? Sarà il silenzio della solitudine ad accoglierle magari nel chiaroscuro di una sagrestia.
Durante la Seconda Guerra mondiale, Ciccio era poco più che un bambino quando vedeva la mamma aspettare con mani e petto tremanti il postino, che, troppo spesso, scuoteva il capo sconsolato e tornava chissà dove.
Il papà era andato soldato in una terra lontana ghermita dal gelo della neve per una missione suicida. L’Armir, sconfitta più dall’inverno che dall’esercito avverso, batteva in tragica ritirata fra steppe ghiacciate. Ciccio si stringeva fra le braccia della mamma e la rassicurava: “Vedrai che tornerà“. Ma il tempo scorreva ignaro e la speranza inesorabilmente si spegneva.
Oggi, quel bimbo è diventato il Parroco della Cattedrale di Bitonto e fa il sacerdote da mezzo secolo, con quella nobile grandezza che dicevamo. E non ha mai dimenticato suo padre: «Sono certo che prima di morire, lui abbia pensato a me e a mia sorella. In tutte le lettere a mia madre chiedeva foto di noi e la invitava a star attenta ai suoi figli».
«Non ho mai conosciuto mio padre, perché morì durante la Seconda Guerra Mondiale, quando io avevo solo un anno. Mamma, rimasta orfana di padre già durante la Prima Guerra, si ritrovò quindi vedova con due bambini a cui badare. Abbiamo conosciuto momenti difficili, grandi sofferenze e dolori, ma li abbiamo affrontati sempre con dignità. Mia madre non ha mai voluto chiedere aiuto, ha sempre fatto tanti sacrifici pur di consentirci di avere un po’ di pane», ci aveva raccontato mesi orsono.
E sono le piccole storie che hanno fatto la Grande Storia, gli invisibili del mondo che hanno scritto le pagine eticamente più emozionanti.
Qualche giorno fa, grazie ad un regalo dei Confratelli in occasione dei cinquant’anni di servizio spirituale, ha avuto l’opportunità di attraversare l’Europa per andare a pregare sul luogo in cui è deposto il corpo del genitore perduto. «Andrò in Russia, nei pressi della fossa comune in cui fu sepolto insieme ad altri 1112 italiani», aveva sospirato fiducioso.
E ce l’ha fatta. Le immagini (foto da un post su fb della prof.ssa Oriana Amendolagine, sua nipote) ritraggono don Ciccio Acquafredda a Komoskhovo, in Russia, mentre carezza dolcemente, come fanno i piccoli con le guance del papà, una grande croce di pietra, mentre pianta un giovane pino che possa essere sempre promessa di vita, mentre steso sull’erba ausculta emozionato il palpito della terra, che è madre e padre insieme.
E qualcuno giura d’aver visto brillare di luce quei fili di smeraldo e non era rugiada…