Venti anni fa, Bari ebbe la dimostrazione più dolorosa, più macabra di quanto sia falso quell’antico mito secondo cui la mafia non uccide i bambini. E di quanto non sia vero che, con la mafia, basta farsi i fatti propri per campare cento anni.
20 anni fa, nel centro antico di Bari, un proiettile alla nuca interrompeva la vita di Michele Fazio. Un ragazzo di soli sedici anni, che con la criminalità non aveva nulla a che fare, “colpevole” solamente di essersi trovato sotto casa sua, proprio quando qualcuno aveva deciso di tendere un agguato al clan avversario. Michele cadde lì, per una pallottola non destinata a lui. Pochi metri e sarebbe rientrato a casa, sano e salvo.
Oggi avrebbe avuto 36 anni. Sarebbe stato un uomo. Quella pallottola interruppe tutto. Pose fine ai suoi sogni. Ma, al tempo stesso, diede il via all’impegno dei genitori Pinuccio e Lella contro la mafia.
Un impegno «non per la legalità» ha spiegato in modo provocatorio Pinuccio, ieri, durante la commemorazione per il ventennale della morte di suo figlio: «Anche le mafie spesso si nascondono dietro una facciata di legalità. Ci battiamo per la giustizia».
Da allora Pinuccio e Lella hanno girato l’Italia per raccontare l’ingiustizia che ha strappato via un figlio e per raccontare la loro scelta di rimanere a vivere lì, dove vivono da sempre e dove Michele fu assassinato: Bari vecchia, un tempo quartiere off limits, inaccessibile per lo strapotere della criminalità.
«Io sto qui. Non sono io che me ne devo andare, ma loro» ripete sempre Lella.
A Michele Fazio è dedicata anche l’aula multimediale dell’Istituto Volta – De Gemmis di Bitonto. L’intitolazione avvenne nel marzo 2018 alla presenza dei due genitori.
«Venti anni fa, grazie al sacrificio di Michele, questa città è cambiata. È come se quel giorno fosse stata scossa da un terremoto per il modo in cui era accaduta la tragedia: perché Michele era un ragazzino, perché stava tornando dal lavoro, dalla famiglia. Ci siamo sentiti tutti un po’ colpevoli di ciò che era accaduto a Michele. In quel momento la città ha deciso da che parte stare e oggi se abitiamo in una città più libera, più giusta lo dobbiamo all’impegno dei genitori di Michele, che incontrano tanti ragazzini nelle scuole e spiegano loro il valore delle legalità e il rispetto delle regole» ha ricordato il sindaco di Bari Antonio Decaro, nella piazza dove ancora oggi abitano i Fazio e dove un monumento ricorda il sacrificio di Michele.
Sono passati venti anni. Fazio non fu né il primo né l’ultimo innocente a cadere a causa della violenza della mafia, della sua spregiudicatezza, della sua incuranza della vita umana. Le stesse che nel 2017 portarono alla morte l’innocente Anna Rosa Tarantino. E non fu neanche l’ultimo ragazzino, come dimostrano i fatti di San Severo di soli due giorni fa, che hanno visto un bambino di sei anni, ancora in lotta contro la morte, diventare un danno collaterale di spietate lotte tra clan.
«Non dobbiamo abbassare la guardia, non dobbiamo essere vittime della normalità. Dobbiamo avere sempre questo coraggio, questa capacità, sostenendo tutti gli sforzi della magistratura, delle istituzioni. Dobbiamo aprire con coraggio le nostre finestre per non stare solo affacciati, ma per scendere in strada» sono state le parole di don Angelo Cassano, presidente Libera Bari: «È importante essere perseveranti».