DI VINCENZO ABBATANTUONO
Oggi avrebbe compiuto 69 anni Sabino Lafasciano, un grande uomo, eccellente professore e preside, un raffinato intellettuale.
Lo conobbi in uno di questi giorni nel 1982 in cui il caldo soffocante concedeva tregua solo in quelle case antiche, come la sede del Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista), che a Bitonto si trovava in una traversa del Corso.
Una palazzina di due piani di cui solo il primo parzialmente agibile in cui noi giovinastri, tutti poco meno o poco più che adolescenti, giocavamo ai giovani bolscevichi, orgogliosi che il segretario nazionale fosse un nostro compaesano.
Sabino, alto e barbuto come un barbudo di Fidel, apparve miracolosamente un giorno in sede (era il Circolo di unità popolare “Antonio Gramsci “- Redazione di Nuova Unità, organo ufficiale del PCd’I (m-l), e per noi fu un giorno di festa, perché quell’ormone vestito di nero come un cospiratore carbonaro era venuto ad autografarci personalmente le tessere dell’organizzazione giovanile, l’Unione della Gioventù Comunista.
Erano anni duri, tutti i suoi vecchi compagni avevano abbandonato la grande utopia, molti erano addirittura passati al nemico, lui solo era sopravvissuto all’ondata di pentimenti, inflessibile come una quercia ad indicarci la Via del Socialismo e la fedeltà indefettibile a Marx-Engels-Lenin e Stalin (Mao un gradino sotto per quella storia del ping pong di Nixon).
Leggevamo i suoi articoli su Nuova Unità, fieri del nostro compaesano illustre, fino al giorno in cui, con un articolo del direttore, scoprimmo che Sabino era stato espulso per essere diventato, ricordo perfettamente, “Icaro”, praticamente un socialtraditore, così, da un giorno all’altro.
Grande fu la confusione sotto il cielo, il compagno Sabino aveva disertato la causa rivoluzionaria, cosa che facemmo anche noi in seguito senza neanche creare tanto clamore.
Passarono decenni, crollarono muri e ideologie prima che lo rivedessi, anche grazie a Facebook, e che tornassimo a parlarci, questa volta lui a Bitonto e io a Torino.
Ormai dirigente scolastico e confluito nel Pd, Sabino è rimasto per molti di noi lo stesso omone colto e sapiente, lo stesso cuore ballerino, uguale al mio, probabilmente nemesi dei rivoluzionari che hanno voluto bene al mondo al punto di volerlo cambiare dalle fondamenta.
A Sabino, appena volato via, ho dedicato il nostro “Bande Libere”, all’uomo, uno dei pochi, che mi ha insegnato ad amare la libertà, anche a rischio di bruciare le ali.