Pasquale Tridico, economista di gran vaglia e di fama internazionale, docente universitario ed editorialista di Repubblica e del Fatto Quotidiano, alla guida dell’Inps dal 2018 al 2023, fautore del cosiddetto (e odiatamato) reddito di cittadinanza, nei giorni scorsi, è stato ospite della nostra città. Relatore principe di un interessante convegno, avente per oggetto la presentazione del suo ultimo libro “il lavoro di oggi, la pensione di domani”, a cura di Francesca Anna Ruggiero e Maria Bufano, rispettivamente referente progetti e rappresentante locale del Gruppo Territoriale M5S Bitonto, ai nostri taccuini ha voluto mettere a fuoco alcune questioni riguardanti quella che rappresenta un’autentica piaga del nostro Paese, da tempo immemorabile: il lavoro. “A mio parere, c’è una narrativa viziata sulla crescita dell’occupazione viziata perché sostanzialmente si basa su una stagnazione del PIL allo 0,6% nell’ultimo biennio. A fronte di questa stagnazione del PIL, che sta ad indicare una crescita stagnante, non possiamo pensare che ci sia stata una crescita di occupazione. Infatti, non c’è. E quando alcuni politici e alcuni giornali raccontano di crescita dell’occupazione, bisogna andare a vedere i dati per capire che cosa succede. E cosa ci sta dentro? Quattro fenomeni. Innanzitutto, c’è una riduzione delle ore lavorate rispetto al 2019 e soprattutto rispetto al 2017. Noi abbiamo avuto, forse, il picco dell’occupazione calcolato come ore lavorate; ma solo perché si registra un aumento del part time, specie femminile, femminile nel settore privato ha raggiunto il 44%. Potremmo definire il part time una droga del sistema, perché avresti bisogno di due part time per fare un full time, senza dimenticare che poi la stessa persona potrebbe pure ritrovarsi disoccupata”.
“Ancora – prosegue la lucida analisi -. L’abolizione del decreto del decreto dignità, il primo maggio scorso, ha di nuovo determinato un aumento di lavoro a termine e della precarietà, quindi questa crescita tanto millantata è trainata prevalentemente da part time, da lavoro a termine, da un numero di ore inferiore e infine dalla cassa integrazione, che ha ripreso a crescere prepotentemente, dopo la breve discesa post picco in epoca Covid. I cassintegrati non sono occupati, questo è il problema. È diminuita la popolazione in età attiva tra quattordici da quindici e sessantaquattro anni. Quindi, il tasso di occupazione, che si calcola con una frazione tra il numero degli occupati e la popolazione tra quindici e sessantaquattro anni di età, ci dice che la situazione attuale è grave. Ora, questi fattori fanno credere che c’è un aumento dell’occupazione, ma la realtà è ben altra”.
Se l’oggi non è roseo, il domani che si prospetta non si può certamente definire felice, massime per le generazioni seguite da una lettera dell’alfabeto, possibilmente una delle ultime: “Ma per i giovani c’è bisogno di politiche di inclusione, politiche attive che questo governo diceva di voler fare, ma non ha fatto perché non si può fare politica attiva soltanto abolendo il reddito di cittadinanza. Consideri il reddito di cittadinanza una politica passiva che non ti piace? Bene. Aggiungici quella alternativa. Mi sembra che l’unica politica esistente sia il programma Gol (Garanzia Occupabilità Lavoratori), nato nella scorsa legislatura con la ministra Nunzia Catalfo, portata avanti dal ministro Andrea Orlando, quindi anche qui non mi sembra che ci sia stato un passaggio incrementale per trattenere i ragazzi qui nel nostro paese vuol dire offrire loro migliori condizioni di lavoro e di vita, lavori precari con bassi salari e un numero di ore esorbitanti spingono i ragazzi ad andare via. È questo il motivo per cui, soprattutto dal sud, negli ultimi vent’anni, sono andati via 1,3 milioni di persone, prevalentemente giovani, nel 30% dei casi laureati. Ecco, questi dati raccontano il dramma di un paese che si fa sfuggire i giovani. Quindi, ci vogliono migliori condizioni di lavoro migliori, politiche attive e ovviamente maggiori investimenti. Il PNRR, che doveva essere il traino degli investimenti e offrire nuove opportunità, va molto a rilento”. Intanto, occhieggia all’orizzonte un nuovecchio pericolo alla coesione socioeconomica e culturale dell’Italia. Tridico schiude i libri di storia, dell’economia e non solo, e illustra: “L’autonomia differenziata minacciata sarebbe veramente la fine per l’unità nazionale per come l’abbiamo conosciuta ed è paradossale che questo possa avvenire con un governo di destra, votato al nazionalismo. Se dovesse passare questa riforma, il supposto, ipotetico residuo fiscale esisterebbe oggi in funzione della spesa corrente, a tutto vantaggio delle regioni del nord, e verrebbe trattenuto da esse, ignorando completamente la spesa storica nel nostro Paese, soprattutto lo svantaggio che dall’unità d’Italia si è accumulato. Per spesa storica, dovremmo considerare tutti gli investimenti che sono stati fatti degli ultimi sessant’anni, nell’epoche delle ricostruzioni del paese nelle seguenti fasi: nel 1861, dopo la prima guerra mondiale, dopo la seconda guerra mondiale e dopo la nascita della comunità economica europea nel 1957. Ecco, all’indomani di queste decisioni e di questi momenti epocali, si è sempre scelto di volere investire maggiormente nel nord, dove apparivano più favorevoli le condizioni per sfruttare il cuore industriale dell’Europa centrosettentrionale, che attraeva maggiormente e che permetteva un’espansione del mercato. Questo è stato favorito dall’assorbimento del bacino di manodopera di milioni di persone provenienti dal meridione. Nel Novecento sono spariti, sono emigrati dal sud, dalle campagne, venticinque milioni di persone. Ergo, se vi è un problema fiscale diffuso, esso deve essere in capo ai cittadini, non alle zone geografiche, per questo non ha alcun senso la riforma proposta”.