L’uomo “aborigeno”, molti secoli prima che sorgesse la città di Bitonto, dimorava all’interno delle numerose grotte naturali che punteggiavano il nostro territorio. Già in età “preistorica” e “protostorica” lo troviamo dislocato sia sulle alture delle “Murge”, in quanto luogo facilmente difendibile, sia sui pendii prospicienti le “Lame”, a quei tempi ricche di acque capaci di collegare la costa adriatica con le colline dell’area interna. Nelle grotte, unico riparo naturale di questi uomini, numerosi scavi archeologici hanno portato alla luce una vasta gamma di reperti primitivi, tra cui incisioni, raschiatoi, lame, oggetti litici e vasi d’argilla, permettendo di stabilire con certezza sia l’età sia il grado di civiltà raggiunto da queste popolazioni. A sud di Bitonto, le grotte del “Serrone”, unitamente a quelle presenti a nord-ovest dell’alveo del torrente “Tiflis”, oltre a confermare la presenza dell’uomo nelle caverne, sono state considerate la culla delle popolazioni aborigene “bitontine”. Nota è la grotta denominata “Pescara del Corvo”, meglio conosciuta come “grotta Chiancarello”, trae il suo toponimo da un antico casale medievale preesistente in loco. Ampia, a forma di imbuto rovesciato con pilastratura centrale, fu utilizzata nel corso degli anni come frantoio oleario incavando nella dura roccia calcarea gli alloggiamenti delle presse. Seguono le grotte del “Romito” e di “San Lorenzo”, probabilmente abitate nell’Alto Medioevo da eremiti. A sud, a circa 300 metri dall’abitato sorge la cavernosa grotta del “Serrone”, toponimo dovuto all’omonima famiglia bitontina, originaria del comune di Serrone (Frosinone) che la possedette, nella quale in passato furono rinvenuti giavellotti di selce bianca, lucidata dall’azione delle acque, lucerne con figure di miti a rilievo e piccoli e grandi vasi d’argilla. Su via “Burrone” vi è la grotta del “Camporese”, meglio conosciuta con il toponimo di “grotta dello Sparafuoco”, in quanto la stessa, da semplice ricovero per gli animali, fu adibita a laboratorio artigianale di fuochi d’artificio, bombe e razzi di ogni potenza. Si racconta che un triste giorno la città di Bitonto fu atterrita da un enorme boato e dal tremito di tutte le case, dovuto all’improvviso incendio di questo “magazzino pirotecnico”, ma la grotta, dalla cappa molto spessa e compatta, non subì alcun danno. Sulla “Lama di Macina” si segnalano le grotte “Nera di Valente” e di “San Francesco”. Sulla “Lama Impise” la grotta del “Cane”. Lungo il corso del torrente “Tiflis” seguono le grotte “Reginella” e “Antica del Morzone”. Nei pressi della chiesa dell’Annunziata di Campagna sono da segnalare le grotte di “Sant’Angelo”, antico luogo cultuale al cui interno vi residuano resti di adside e dipinti riferibili a periodo bizantino. Un plauso va al “Gruppo Speleologico Bitontino” (Sig. Carbone, Pastoressa ed altri), i quali negli anni 70 esplorarono e censirono non solo le grotte bitontine ma anche quelle presenti nei territori limitrofi mettendo in risalto la grandiosa “Grotta di San Martino”, attualmente ubicata in agro di Toritto ma pertinenza di Bitonto sino al 1265, nella quale vi residuano numerose stalattiti e stalagmiti.
Pasquale Fallacara