Aspettate,
Non siamo a Fiesole, e non è nemmeno il 1348.
Sono passati, molti, molti anni eppure la situazione pare essere quella.
Una piccola cittadina dell’estremo sud o un borghetto dell’estremo nord, una grande città eppure per la prima volta sembra non esserci differenza. Non c’è chi dice di lavorare di più e chi viene accusato di non farlo poi così tanto, le differenze sociali, economiche, tutto è abbattuto.
Per la prima volta ci siamo addormentati senza consapevolezza di cosa potesse essere il domani, noi, UOMINI, che abbiamo creduto di essere immortali rubando finanche il fuoco siamo stati “sconfitti” dalla nostra stessa convinzione. Ce ne sono stati a migliaia, prima di noi, a dirci che il domani sarebbe stato incerto eppure con gli studi, le smodate previsioni, le statistiche, ciascuno di noi da sempre si è per un attimo sentito il ‘Padrone del Mondo’.
Ecco che all’improvviso è dilagata la tirannide e il virus despota ci ha messo in quarantena.
I giorni scorrono tutti uguali senza sonno e modesta fame, ciascuno di noi cerca di ricavarsi uno spazio modesto in una casa sempre affollata dove ci raccomandano di rimanere. Tanti i consigli su “cosa fare durante la quarantena”, già, siamo la generazione dei nativi digitali e forse abbiamo persino imparato a sbloccare lo schermo con il pollice prima ancora di capire come ben pronunciare il nome dei nostri genitori zoppicando nelle doppie e nelle “R” riconducendo i loro nomi ad omonimi uomini orientali.
Eppure cosi tanto mescolate a tecnologia sembrano divampare consuetudini capaci di riportarci indietro di almeno un secolo. Il mio spunto oggi, 12 Marzo, 4 giorno di quarantena, parte proprio di qui. Due signore parlano attraverso il balcone, ciascuna inviterebbe l’altra volentieri a ber un caffè nella sua cucina ma le restrizioni lo impediscono. Parlano di quanto tutto questo sia simile alla seconda guerra mondiale e si interrogano tra loro su quanto ciascuna abbia vissuto più dell’altra quegli atroci periodi di guerra constatando a vicenda quanto l’esperienza pregressa avrebbe potuto aiutarle, eppure anche loro non sanno cosa fare. Ci ritroviamo a condividere il loro stesso enorme lasso di tempo, noi giovani con i minuti contati sulle dita di una mano comprendiamo finalmente affacciandoci alla finestra il valore del suono di una canzone che proviene da una macchina o quanto quello del cielo che la primavera dipinge a macchie di rosa e arancione possa scatenare un sorriso. Chi li aveva mai capiti quei vecchietti del sud affacciati alla finestra a vedere il mondo che nel frattempo scorreva ai loro piedi aspettando una giornata intera per quella breve chiacchiera a distanza.
Intanto tra questi pensieri viene giù la notte, Venere sempre puntuale compare nel cielo senza tempo dove un’ora è uguale all’altra e la luna porta avanti la speranza che tutto tra poco tornerà come prima, la strada diventa deserta e il silenzio assordante è rotto dalle madri che urlano per i capricci dei figli, i cani che abbaiano, qualche colpo di tosse, la sirena della polizia che invita a tornare a casa. In questo momento più di ogni altro ci fermiamo a pensare, ci mancano i nostri genitori, i nostri cari, i nostri amici, tendiamo a coloro da cui più spesso ci siamo ribellati e divincolati, le sole parole e gli abbracci a distanza non ci bastano, guardiamo attoniti le cinghie poste intorno alle nostre libertà ma nel frattempo assopiti chiudiamo la giornata leggendo le notizie del nostro capo di stato e del nostro sindaco. Ci addormentiamo riscaldati dalla bruciante speranza che “TUTTO ANDRA’ BENE” mentre il cuore si stringe, ancora tiepido per il calore affettivo tanto cercato. Ecco cosa c’è di così strano, stiamo imparando a vivere veramente.