Dublino. La città dei cui abitanti James Joyce narrò le storie quotidiane in “The Dubliners”, da noi “Gente di Dublino”. La capitale dell’Irlanda, terra dai panorami bellissimi, fatti di verdi colline, nuvole sempre pronte a scaricare acqua, altissime scogliere a strapiombo sulle fredde acque dell’Oceano Atlantico, villaggi di pescatori dalle case colorate, pub dove si ascolta musica (se si parla di musica irlandese vengono subito in mente U2 e Cranberries) bevendo fiumi di birra o whiskey, cattedrali gotiche, chiese e castelli diroccati circondati da immensi prati verdissimi. Capitale di un’isola molto legata alla propria cultura, alla propria storia, alle proprie origini, tanto da riscoprirne anche la lingua antica, il gaelico, nei secoli parlato da sempre meno persone, perché soppiantato dall’inglese, essendo stata l’Irlanda, fino al 1922, uno stato del Regno Unito.
La storia dell’isola affonda le proprie radici nei secoli. Non si conosce neanche la data di fondazione. Da sempre meta di scorrerie dei pirati vichinghi dediti, tra le altre cose, al commercio di schiavi in tutto il vecchio continente, fino alla Turchia, di esplorazioni (si narra che a Galway ci passò anche Cristoforo Colombo, ma non si sa bene se sia vero o no) di pellegrinaggi dei missionari cristiani per convertire le popolazioni locali, i celtici e, appunto, i vichinghi, di conquiste normanne che, poi, porteranno il dominio inglese per i secoli a venire. Dominio inglese da cui, l’isola, solo nel 1922 riuscì a liberarsi. A costo di una sanguinosa guerra, prima contro la Corona, e poi di una guerra civile, tra chi accettò il trattato del ’22 e chi non lo fece. Una guerra, quest’ultima che, negli anni, si spostò nel nord, nella regione dell’Ulster, che, a causa della prevalenza di cittadini di fede anglicana, favorevoli al dominio di Londra, rimase parte del Regno Unito, nonostante la contrarietà dei cattolici, inclini all’unione con il resto dell’isola. Chi ha da 30 anni in su può facilmente ricordare le tristi notizie di cronaca provenienti da quella parte d’Europa.
Se c’è una cosa che subito balza agli occhi di chi visita l’Irlanda e Dublino, i suoi monumenti, i suoi musei, è lo spirito d’orgoglio con cui viene rivendicata l’indipendenza dai vicini britannici. “Periodo coloniale” è la dicitura che spesso indica il periodo di dominazione di Londra, nei libri e nei pannelli nei luoghi da visitare. Non una provincia del Regno Unito, ma una colonia, è stata l’isola in tanti secoli. Soprattutto secondo la maggioranza cattolica, spesso povera e discriminata, privata di diritti che ai protestanti erano concessi, relegata a fare lavori più umili e malpagati. Fu tra i cattolici, infatti, che si diffuse un forte sentimento nazionalista anti-inglese.
Le lotte per l’indipendenza e l’emancipazione dei cattolici iniziarono già a fine Settecento, quando alcuni rivoltosi, sotto l’influenza delle rivoluzioni francese e americana, diedero vita a insurrezioni che, provocarono, come risposta da parte della corona, la soppressione del parlamento irlandese.
Le lotte proseguirono per tutto l’800, secolo in cui crebbe la popolazione e, con essa, quella povertà ben descritta da Joyce. Povertà diffusa soprattutto tra i lavoratori, che diedero vita a scioperi e insurrezioni. Povertà che provocò forti ondate migratorie verso il continente americano.
Ma a dare una spinta fondamentale alla lotta per l’indipendenza fu la Prima Guerra Mondiale, in cui migliaia di irlandesi persero la vita per quella Corona tanto odiata, per quello che consideravano l’invasore. Molti nazionalisti vi parteciparono nella speranza che Londra concedesse l’indipendenza alla fine della Grande Guerra.
Ma mentre nel vecchio continente imperversava la guerra, i più intransigenti iniziarono già nel 1916 la lotta per staccarsi dal Regno Unito. Le violenze dell’IRA (Irish Repubblican Army) aumentarono alla fine della guerra mondiale, tra gli attacchi dei nazionalisti e le rappresaglie dell’esercito inglese e delle milizie paramilitari filogovernative, che non esitò, in diverse occasioni a sparare sulla folla (episodi che aumentarono il consenso verso la causa indipendentista).
Alla fine di una lunga scia di sangue, con migliaia di morti da ambo le parti, nel 1922, l’Irlanda ottenne la tanto agognata indipendenza, con il Trattato Anglo-Irlandese, che, però, mantenne sotto il controllo di Sua Maestà l’Ulster, l’Irlanda del Nord, dove i cittadini di fede anglicana, filo-inglesi, erano in maggioranza.
Il Trattato fu sì la fine della guerra con Londra, ma fu anche l’inizio della ancor più sanguinosa guerra civile, che per un anno insanguinò il neonato stato irlandese. L’IRA si scisse tra il nuovo esercito nazionale e la fazione di chi non accettava un trattato che spaccava in due l’Irlanda. Una guerra fratricida che vide contrapposte persone non solo dello stesso popolo, ma che avevano combattuto insieme contro gli inglesi. Violenze brutali si consumarono da tutte le parti. Perirono anche personaggi di spicco della lotta per l’indipendenza. Fino a quando gli irregolari, sconfitti dall’esercito, gettarono le armi. La guerra era finita, non senza prima aver provocato cicatrici che si riapriranno nella seconda metà del ‘900 con l’esplodere del conflitto in Irlanda del Nord, dove i cattolici, continuarono a lottare contro l’esercito e le milizie lealiste e dove, ancora oggi, nonostante la lotta armata sia conclusa, a sognare un’Irlanda unita, libera dal dominio britannico.
Oggi, a testimonianza di quegli anni tumultuosi, a Dublino sono visitabili il castello, antico centro del potere coloniale, oggi in uso al governo irlandese, e l’antico carcere inglese denominato Kilmainham Gaol. L’edificio fu utilizzato dai britannici per imprigionare e giustiziare molti indipendentisti. Anche bambini finirono dietro le sue sbarre per tutto l’800. Dopo l’indipendenza furono arrestati anche i ribelli che si opposero alla pace con Londra. Fino al 1924, quando fu chiuso per essere poi trasformato in un museo dell’indipendenza irlandese. I suoi ambienti hanno ospitato anche le riprese di “Nel nome del padre”, film sulla vicenda di dei quattro di Guilford, ragazzi nordirlandesi ingiustamente detenuti per 15 anni per un attentato mai compiuto.