«Viva impressione ha suscitato la
notizia del rinvenimento nelle prime ore del mattino del cadavere di un
militare polacco presso lo spaccio di vini, in via Rogadeo». Principiava così il pezzo, la mattina
del 18 febbraio 1946, la redazione de “La Gazzetta del Mezzogiorno”.
All’inizio
delle indagini sembrava trattarsi di un suicidio, visto che il militare aveva
tra le mani una rivoltella e riportava una ferita d’arma da fuoco alla testa.
Ma i
Carabinieri stabilirono che invece si trattava di omicidio e che il cadavere,
in realtà, era stato lasciato vicino alla locanda artatamente, per deviare le
indagini della giustizia.
Si aprì così
un’indagine della magistratura per valutare le ipotesi del delitto: forse una
rapina, un omicidio per gelosia, qualche parola o commento di troppo?
Fatto sta che il corpo è nell’ossario
del cimitero di Bitonto da 71 anni ormai in una bara d’abete.
Assieme
all’avv. Laura Fano, che si è
occupata del caso dal lontano 2008, abbiamo consultato i registri cimiteriali
fino al 1961, ma non c’è traccia della registrazione del corpo.
Il “da
Bitonto” ha scritto della vicenda già nel novembre 2015, tra le colonne del periodico (n. 297), e in questo
periodo le indagini dell’avvocato Fano sono andate avanti sino ad incastonare
ogni dettaglio ed arrivare a dare un nome a quell’uomo, una dinamica all’accaduto,
un movente e più di un colpevole.
La storia del
Corpo Polacco in Italia è fatta di grande amicizia e umanità tra i civili
pugliesi e i militari. Proprio a Bitonto, infatti, dopo la II Guerra Mondiale, giunsero
gli alleati e tra loro.
C’era un
presidio polacco dislocato in tre punti diversi della città: nel Liceo “C. Sylos”,
a Palazzo Pannone e a Palazzo Gentile Juniore.
I militari
trasportavano munizioni e presidiavano depositi: sono noti episodi di cronaca
di incidenti e scoppi, in molti dei quali hanno perso la vita diversi concittadini.
Non sempre,
però, regnavano amicizia e serenità, perché sono altrettanto noti i casi di furti
di coperte e cibarie da parte dei bitontini.
In questo
clima di convivenza, non sempre pacifico, si inserisce anche il ferimento
mortale di questo militare.
La ricostruzione. Dalle indagini cominciate dallo
storico, nonché giornalista e avvocato, Fano, già dal lontano 2008, è emerso che
il corpo appartiene a Soroka Michala,
figlio di Alessandro e di Nadjia Srabmisko. Era nato a Rotkjecojere il 1
febbraio del 1923 in provincia di Wilejka dove abitò sempre. Sposò Leokadia
Kleurec. Entrò a far parte dell’Esercito Polacco il 14 gennaio 1945:
apparteneva alla 3° Compagnia del Quarto Battaglione Cacciatori dei Carpazi, e
all’epoca dei fatti si trovava a Bitonto.
Quel 17 febbraio 1946 i fatti andarono esattamente così,
come riportano i fascicoli e gli atti processuali della Corte di Assise di Bari, della Corte
di Assise di Foggia, della Corte di
Appello di Bari e della Suprema
Corte di Cassazione.
«Verso le 4,30 del
mattino del 18 febbraio 1946, un lunedì, il Comandante della Stazione dei
Carabinieri di Bitonto fu avvertito da un vigile urbano, tale Augurio
Francesco, che sulla via Vincenzo
Rogadeo in Bitonto, nei pressi del civico
n. 3, era stato rivenuto il cadavere di un giovane, disteso lungo la porta
chiusa delle cantine di P. G.. I Carabinieri,
recatisi nel posto indicato rinvennero il cadavere di un militare polacco di circa 25 anni, vestito con abiti militari color kaki, senza
giacca, pantaloni alla cavallerizza,scarpe alte nere e gambaletto allacciato. Sulla mano
destra notarono tracce di unghiate. Avvertite
le autorità militari polacche, giunsero sul posto e costatarono l’entrata di una pallottola sopra l’orecchio destro e l’uscita dall’altra parte sotto l’orecchio sinistro. Sotto il corpo furono
rinvenute due macchie di sangue di
grandezza di 12 cm cadauna. Presso
il deceduto non si trovò alcun documento».
La salma fu riconosciuta e identificata dal Sergente Maggiore Reixner Andrea, provveditore
della Compagnia cui apparteneva il militare. Le autorità militari polacche
vollero che il cadavere fosse immediatamente rimosso e trasportato per l’esame
microscopico al 5° Ospedale di Guerra di
Casamassima.
Le indagini. Solo verso le 7 fu possibile
iniziare le indagini. I Carabinieri, «seguendo
alcune tracce di sangue, giunsero fino al civico 14 di via Cimarosa,
appartenente ad un pregiudicato, dove l’acciotolato risultava pulito da poco.
Forzata la porta di accesso penetrarono nell’abitazione dove rinvennero tracce
di sangue e un bossolo di cartuccia 9 mm che i militari polacchi dichiararono appartenere alla pistola in dotazione
dell’Esercito Polacco».
In seguito alle indagini svolte dai carabinieri, dalla
Sez. istruttoria della Corte di Assise di Bari e agli interrogatori di testi e
imputati, furono incriminati: «D. L. e P. G. per aver causato la morte del soldato polacco
Soroka Michala, commettendo il fatto per rapinarlo con premeditazione e per
essersi impossessati, in correità tra loro, e per procurarsi un profitto di una
pistola ed altri oggetti sottratti al soldato mediante violenza con pistola in
Bitonto il 17 febbraio 1946. D. L., B.
L. e R. A. A. furono imputati per
aver, in correità tra loro, occultato il cadavere del soldato polacco».
La vicenda
giudiziaria. Con
sentenza resa in data 11 ottobre 1947, la Corte
Ordinaria di Assise di Bari dichiarava D. L. e P. G. colpevoli in correità di omicidio volontario del
soldato polacco Soroka Michala, condannando
ciascuno di essi alla pena di
reclusione di anni 14, all’interdizione dai pubblici uffici e a quella
legale durante l’espiazione delle pene.
Veniva ordinata, altresì, che a pena espiata, entrambi
fossero sottoposti a libertà vigilata per una durata minima di tre anni.
Col medesimo provvedimento la Corte assolveva D. L., P. G., B. L. e R. A. M. da
altre imputazioni loro ascritte per non averle commesse.
A seguito di ricorso
in Cassazione, la sentenza fu annullata dalla Suprema Corte e la causa rinviata per l’integrale riesame alla
Corte di Assise di Foggia: il 13 aprile 1949, ponendo fine al processo iniziato
nel 1946, si espresse con sentenza di condanna
definitiva, passata in cosa giudicata il 4.1.1950, per «aver causato la morte del soldato polacco
con colpi di pistola, degli imputati D. L. a 23anni e 7 mesi di reclusione e £. 25.000 di multa,
P. G. a 23 anni e 9 mesi di reclusione e a £. 30.000 di multa, entrambi in solido al pagamento delle spese processuali. Entrambi gli imputati furono
altresì condannati all’interdizione
perpetua dai pubblici uffici e a quella legale durante la pena e sottoposti
a libertà vigilata di tre anni dopo
l’espiazione della pena». D. L. con questa sentenza fu assolto dal reato di
occultamento di cadavere:
Dagli atti processuali non emerge prova alcuna in ordine
al possibile movente del delitto commesso. Al di là delle dicerie
popolari che vedrebbero l’omicidio commesso per presunti motivi legati al
gioco, alla gelosia o alla rapina, dalle indagini meticolose compiute
dall’Autorità Giudiziaria non emerge alcun dato preciso e concordante che possa
far supporre tali moventi.
La ricostruzione del
movente. Piuttosto dai verbali di causa, stando alla
ricostruzione operata dalla magistratura inquirente, si potrebbe supporre che
l’omicidio del soldato Soroka Michala sia avvenuto
a seguito di un litigio tra la parte lesa e gli imputati relativamente
ad alcuni beni sottratti da Soroka dai
magazzini della propria Compagnia
per poi essere rivenduti, di intesa con gli imputati, al locale mercato nero.
Purtroppo ancora oggi a noi non è dato di sapere come
andarono realmente i fatti. Certo è che non
si trattò, come tentarono di dimostrare gli imputati, di un suicidio.
Il parere dell’avv. e
storico Laura Fano.
«La bara nel tempo non è stata violata in nessun modo, il cattivo stato di conservazione della salma è da
ascriversi verosimilmente al trascorrere
inesorabile del tempo che porta alla naturale decomposizione dei corpi e
all’umidità presente nell’Ossario che ha reso fatiscente la misera cassa lignea».
«È mio auspicio, come
detto in premessa, che il corpo del soldato Soroka Michala, dopo 71 anni di ingiustizia e oblio, ora
che finalmente ha un nome e cognome e non è più ignoto, trovi degna sepoltura e
le sue ossa possano davvero riposare in pace nel Cimitero Militare polacco di Casamassima».
«Il suo corpo infatti è
stato purtroppo dimenticato dalle
Autorità civili e militari, italiane e polacche e dagli stessi congiunti, anche
al termine dei lunghi processi, in quanto nessuno sino ad oggi, nonostante
il passaggio in giudicato delle sentenze, si è preso cura di richiedere l’autorizzazione alla sepoltura dei resti
mortali di Soroka Michala».
«Nel confidare che
questa mia umile ricerca possa aver definitivamente fatto luce su una triste
pagine dell’Italia del dopoguerra e possa essere di conforto ai familiari del militare
polacco Soroka Michala e alla comunità polacca presente sul nostro territorio,
resto a disposizione delle Autorità Italiane e Polacche per eventuali ulteriori
chiarimenti».
Intanto, la meticolosa ricerca di Laura Fano è stata
inoltrata all’Ambasciata Polacca di Roma, all’Associazione delle Famiglie dei Combattenti Polacchi in Italia e dal tenente Marcello
Presicce – del comando di Bitonto – ad “Onorcaduti”, Banca
dati dei Caduti e Dispersi della 1ª e della 2ª Guerra Mondiale che fa capo
al Ministero della Difesa.