Anna Rosa è morta per “un motivo di violenza. Ma bisogna fare una riflessione profonda perché, a volte, ricordare equivale a dimenticare e noi vogliamo capire l’origine della violenza: sanare un male significa fare una analisi profonda”.
Ha aperto così l’omelia di oggi don Ciccio Acquafredda, parroco rettore della Cattedrale, dove stamane si è celebrata la messa ad un anno dalla morte di Anna Rosa Tarantino, vittima innocente di una lotta tra clan che imperversava tra i vicoli del nostro centro storico.
Il Vangelo di Luca (2,41-52) di oggi racconta di Gesù che, con Maria e Giuseppe, all’età di dodici anni fu condotto a Gerusalemme per la festa di Pasqua, ma, mentre prendevano la via del ritorno, il fanciullo rimase lì senza che i genitori se ne accorgessero.
“È un bambino che si perde – sottolinea don Ciccio -, ma è un bambino che insegue un ideale molto grande, una missione d’amore: va ad “occuparsi delle cose” di Dio, ma alle sue spalle c’era una famiglia – c’erano Maria e Giuseppe – che lo cercava. Questa è la preoccupazione che i genitori di oggi dovrebbero avere: la sentono questa ansietà? Sono turbati se i figli percorrono strade sbagliate? Sanno di essere i primi educatori alla vita, alla fede? Cercare significa avviare un cammino di formazione e, se manca l’amore genitoriale, tutto si perde. Dove non c’è vita, c’è l’odio, l’egoismo e tutto si perde”.
E così continua, con parole franche e persin dure: “Anna Rosa è morta perché questi ragazzi non avevano avuto una giusta educazione”.
Il Vangelo si conclude con “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Cosa significa? “Siamo preoccupati di far star bene i bambini fisicamente, ma ci preoccupiamo della loro salute spirituale? Sapete quanti ragazzi ho visto morire in cinquant’anni qui? Al catechismo, in chiesa, erano bambini come tutti gli altri”.
E tuona: “La prevenzione nei bambini è importante, vivacchiano, non sono formati come persone. Devono capire cos’è la gioia di vivere. E la gioia di vivere non è risolvere tutto con la violenza, con i pugni, i calci, o impugnando un’arma”.
“Bisogna sensibilizzare i bambini, gli adolescenti, e far capire loro che le cattive azioni hanno delle conseguenze, educarli alla non violenza, a chiedere perdono”.
E conclude: “Finché una famiglia non cresce nell’amore, dobbiamo preoccuparci perché, altrimenti, torneremo a piangere. E non parlo di amore affettivo, ma un amore fatto di sacrificio e impegno. Serve l’aiuto di tutti, la collaborazione di tutti, chiesa, istituzioni, affinché queste famiglie fragili siano sostenute e aiutate”.