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Home » Com’è stato smascherato il “sistema Giordano” che ha truffato il Fisco per 31 milioni di euro. Ecco tutti i dettagli dell’operazione della DIA

Com’è stato smascherato il “sistema Giordano” che ha truffato il Fisco per 31 milioni di euro. Ecco tutti i dettagli dell’operazione della DIA

La dott.ssa Ginefra (Procura di Bari): "Continueremo nella nostra attività. Ora ci preoccupa salvaguardare i 1400 posti di lavoro forniti dalle aziende interessate"

Lucia Maggio by Lucia Maggio
12 Luglio 2018
in Cronaca
Com’è stato smascherato il “sistema Giordano” che ha truffato il Fisco per 31 milioni di euro. Ecco tutti i dettagli dell’operazione della DIA
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Soldi nascosti ovunque – dalle intercapedini dei muri ai doppi fondi delle auto, passando per trolley disseminati in ogni dove -, una organizzazione ramificata, capillare, che ha portato ad indagare su ben 28 persone (e a portarne tre di queste in carcere, in custodia cautelare) per associazione per delinquere, reati fiscali, riciclaggio ed autoriciclaggio. “Parliamo di un volume d’affari di circa 500 mila euro alla settimana”, ha sottolineato subito il Procuratore Giuseppe Volpe.

Il caso. Emerge un particolare, più unico che raro. La criminalità organizzata era al soldo dell’imprenditore “illuminato” e non il contrario, come spesso accade. Vere e proprie “eccellenze” del campo, quindi. Un’anomalia che indubbiamente schiude lo spazio ad altri scenari che verranno approfonditi da successive attività d’indagine, dal momento che un intreccio del genere, a parti invertite per giunta, a lungo andare si paga.

L’indagine. L’indagine effettuata dal 2014 al 2017 dalla Direzione Investigativa Antimafia, attraverso il Centro Operativo di Bari – in collaborazione con le strutture di Roma, Milano e Torino – nei giorni scorsi ha dato esecuzione al Decreto di Sequestro Preventivo, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari di Bari, su richiesta della Procura della Repubblica (DIA). Sono state svolte atipiche attività di ricerca che hanno previsto l’utilizzo di Georadar, termocamere, camere endoscopiche, cani molecolari (anti–valuta in forza ai reparti della Guardia di Finanza), nonché di personale tecnico dei Vigili del Fuoco per le opere di abbattimento in sicurezza di alcune strutture.

Il provvedimento. Il sequestro ha riguardato beni mobili ed immobili per un totale di circa 31 milioni di euro, valore del profitto illecito realizzato attraverso una serie di reati fiscali (2,6 mln di euro) e alla derivante somma di complesse procedure di riciclaggio e autoriciclaggio (4,6 mln di euro), riconducibili alle disponibilità illecite accumulate nel tempo da Francesco Giordano, imprenditore originario di Bitonto ed operante nel settore della somministrazione di mano d’opera ad aziende della lavorazione delle carni.

Chi era e cosa faceva Giordano. Giordano era di fatto il dominus di un multiforme intreccio societario operante nell’hinterland milanese dove da poco si era trasferito assieme alla sua compagna Larisa Andreea Hangiu, prestanome del soggetto. Di fatto a Milano, l’organizzazione era diretta dalla provincia di Bari: il tutto era costituito da una società consortile per azioni, da società di capitali socie di detta SCpA e da società di capitali cosiddette “esterne”, tutte rappresentate legalmente e partecipate da soggetti prestanome. Lui e molti suoi sodali, tra cui stretti congiunti (tra cui la figlia Raffaella) e numerosi professionisti, realizzavano profitti illeciti.

Nel dettaglio. “Le società di macellazione carni, invece di effettuare i servizi all’interno con i propri dipendenti, affidavano la pratica a società esterne con prezzi molto inferiori. Tutte queste erano tenute assieme da un consorzio che fatturava alle aziende”, ha spiegato il colonnello Vincenzo Mangia, capo del centro della Dia.

Ma come? Da un lato si ometteva sistematicamente il versamento dell’Iva e degli oneri indebiti previdenziali e assistenziali a debito delle società e, dall’altro, precedendo a indebite compensazioni fiscali. In tutto questo il commercialista di fiducia era proprio il presidente dell’Us Bitonto, Francesco Paolo Noviello, finito anche nell’inchiesta parallela della Procura di Milano (leggi qui: https://bit.ly/2tZbd9M). Questo era condito da un ingegnoso sistema di infedeli dichiarazioni: gli illeciti proventi – attraverso cui venivano anche distorte le regole del mercato del lavoro -, erano “drenati” attraverso fittizi rapporti commerciali e finanziari con aziende di comodo, create al solo fine di riciclaggio, situate nel barese e riconducibili al 48enne pluripregiudicato bitontino Emanuele Sicolo, detto “Pagnotta”. Il meccanismo era perfezionato con la monetizzazione della somma illecita mediante numerosi prelievi di denaro contante con carte paypal, bancomat, ecc, intestate a soggetti compiacenti, “veri e propri tastieristi” facenti parte del gruppo di Sicolo.

Chi è Sicolo. Già condannato per associazione di stampo mafioso, ritenuto nell’orbita del noto gruppo criminale facente capo a Savinuccio Parisi di Bari. Al soggetto la Dia ha sequestrato beni per oltre 800 mila euro nel 2017. È noto per reati, tra i quali furto, rapina, detenzione e porto illegale di armi, omicidio, associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti che gli erano costati periodi anche di lunga durata passati in gattabuia: era stato arrestato dalla polizia nel marzo 2016, nell’ambito dell’operazione “Do ut des” (leggi qui: https://bit.ly/2mdQfzD).  «Abbiamo lavorato in maniera rapida e con dedizione – ha affermato la dottoressa Isabella Ginefra della Procura di Bari -. Ci siamo mossi seguendo i movimenti di Sicolo, che aveva operato delle cessioni e stava prendendo le distanze da alcune società, al fine di allontanare da sé i proventi di queste. Parliamo di un grosso riciclaggio di risparmio di spesa, operando frodi fiscali».

Cosa è stato sequestrato?

I soldi erano sigillati tutti alla stessa maniera: pacchi di banconote sottovuoto per preservarli dall’umidità (termosigillate). Dalle ville, ai gioielli, dai camini (200 mila euro) ai trolley nascosti nelle intercapedini degli ascensori, dai cartongessi a casa dell’ex moglie di Giordano, Tina Aluisio, agli investimenti in titoli, azioni, polizze e attività commerciali.

Il 30 novembre 2017, infatti, è proprio a casa della Aluisio  che vengono sequestrati 3.256.000,00 di euro in contanti accuratamente occultati nella muratura perimetrale, all’interno di cave e divani, di una lussuosa abitazione a più piani ubicata in località Bari/Santo Spirito: l’immobile è risultato di proprietà di Giordano ed era adibito a funzione di caveau.

Il 5 dicembre 2017 vengono sequestrati 830 mila euro riposti in alcuni borsoni marchiati U.S. Bitonto e custoditi presso abitazioni dei congiunti di Giordano: all’interno c’erano anche token e falsi modelli F24 per giustificare le uscite; 20 mila euro erano nelle disponibilità di Antonio Paolo Zefferino (appartenente al clan Parisi).

Il 20 marzo 2018 vengono sequestrati 320 mila euro trovati a bordo di un’auto che si muoveva in autostrada, munita di doppiofondo ed utilizzata per il trasferimento del denaro all’estero, sulla quale viaggiavano insieme Sicolo – che aveva concluso da qualche giorno il periodo dei domiciliari – Giordano e il bitontino Francesco Putignano, legale rappresentante di più società. I tre, in questa occasione, sono stati sottoposti a fermo: il Gip dispose la custodia cautelare in carcere, tuttora in atto.

Il 23 marzo 2018 vengono sequestrati 60 mila euro ed oggetti preziosi all’interno della camera blindata di una lussuosa villa a Nerviano (Mi), anch’essa oggetto di sequestro, intestata alla compagna rumena di Giordano.

E ancora 753 mila euro rivenuti sui conti correnti bancari intestati ad alcune società riconducibili a Giordano, a suoi stretti congiunti, a numerosi professionisti: beni mobili, immobili, arredi (simili sia nella villa di Santo Spirito che in quella di Milano), rapporti finanziari (polizze, conti correnti, titoli azionari, obbligazioni, fondi pensioni). Ma non solo: ci sono anche 23 società a Milano e 2 in provincia, 4 società e tre complessi immobiliari a Bari, 1 a Roma, 1 a Taranto, 5 a Biella, 1 a Vercelli, 1 immobile a Teramo, 4 attività ristorative (tra cui C’era una volta a Bitonto), 13 veicoli e motocicli di grossa cilindrata e valore.

Le indagini proseguono. «Continueremo la nostra attività – ha garantito infine la Isabella Ginefra della Procura di Bari -. Ciò che ci preoccupa di più è salvaguardare i 1400 posti di lavoro forniti dalle aziende e i dipendenti dei ristoranti».

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