Nella seconda metà del Seicento si pubblicano e si diffondono Giornali o Ricordi di viaggio, che esprimono un nuovo modo di considerare il mondo: più concreto, vissuto, realistico. Si viaggia in Italia, alla scoperta delle sue tante contrade e dei suoi tesori, come accade ancor oggi; soprattutto il Meridione incuriosisce ed attira numerosi viaggiatori, che lo percorrono in lungo e in largo lasciando descrizioni talvolta impietose delle sue condizioni con parole e con immagini non sempre veritiere. Fra coloro che visitano la Terra di Bari nell’ultimo ventennio del Seicento c’è un abate romano, naturalizzato napoletano, Giovan Battista Pacichelli (1634 – 1695), che, fra il 1682 ed il 1689, venne ben quattro volte in Puglia e si fermò anche a Bitonto. Infatti, in un giorno non precisato del 1682, egli, provenendo da Altamura, dove aveva sbrigato una missione diplomatica, dopo “una giornata di cammino a cavallo”, pernotta a Bitonto in uno dei “conventi dei Predicatori, dei Minimi e degli Osservanti” (pur non precisando in quale fa capire che è il primo). L’impressione che riceve dalla visita della città non è positiva: “Le mura vecchie par che dimostrino qualche buona regola; ella è però così lorda di dentro con le vie tortuose ed anguste e mediocri abitazioni di aspetto, che fa gemere il forastiero in un’amara malinconia. Visitai alcune chiese dopo il Vescovado poco luminoso ed illustre, con la memoria di Monsignor Tomaso Acquaviva Domenicano, che sostenne per pochi anni questa mitra, nobilitata da Monsignor Cornelio Musso, insigne dicitore, dal Cardinal Crescentio e da altri. E ve l’avea fatta scolpire il vivente Vescovo Monsignor Gallo, Auditor Pontificio in Vienna, in tempo della nunziatura del Cardinal Carafa. In somma non mi piacque che il tempio de’ Padri Teatini, ornato d’oro e di pitture, della casa de’ quali son’usciti il Padre Sylos ed altri uomini di valore. È però ricca di 2580 fameglie, venticinque delle quali sono ascritte alla nobiltà.”. A Bitonto il Pacichelli mangia, “facendomi apparecchiar fra i Predicatori, col rinfresco, un’ottima suppa di cappone dalle Suore, con pane bianchissimo e forsi del migliore del regno”; poi, l’indomani, parte alla volta di Ruvo di Puglia. Rasenterà Bitonto in un viaggio successivo (1685), ma senza entrarvi, per andare a Bari. Lo stesso abate, comunque, in maniera più dettagliata in un’opera pubblicata postuma, definisce Bitonto “una delle più fertili città della Peucezia per l’abbondanza di grano, olio, e mandorle che produce il suo territorio e delizioso ed odorifero per la quantità dei suoi cedri (sic!), aranci e limoni”. Ed elenca anche alcuni edifici importanti della città: “… di considerazione è la sua Cattedrale ed il Palazzo del Vescovo, per le commode stanze, e la Basilica per la famosa struttura, essendo situata nella Piazza maggiore con quadruplicato ordine di colonne di finissimi marmi, con vago Coro, Pulpito, Organo, Pitture, ornamenti, e tutte le suppellettili necessarie … e consacrata al Santo Martire suo Protettore, Valentino, …”. Pacichelli ricorda, inoltre, che “in molti conventi s’osservano le regole più strette della nostra Santa religione, uno de’ quali è d’ Olivetani e sei di Mendicanti, con due monisteri di Vergini Claustrali, cinque Confraternità di Laici, Ospedale e Monte della Pietà …”. A corredo di questi appunti di viaggio nell’opera è offerta una veduta panoramica di Bitonto a fine Seicento, come si presentava al Pacichelli, non corrispondente a quella cui siamo abituati, per alcuni particolari su cui torneremo fra poco. La tavola si può confrontare con altre due immagini a noi pervenute: una mappa della città, datata al 1583 ed attribuita a Michele Angelo Azzaro, e la veduta prospettica di Bitonto, Città del Regno di Napoli in Terra di Bari, contenuta nel prezioso volume di Cesare Orlandi. A queste se ne aggiungono altre due: la cosiddetta carta Rullan e un quadro dedicato alla Battaglia di Bitonto del 1734, esposto al Museo del ejercito di Toledo (Spagna).