“Bitonto? È specchio di una mafia che si rinnova”.
Principia così una lunga riflessione su quello che è successo in città il 30 dicembre – l’uccisione di Anna Rosa Tarantino – che il sociologo barese Leonardo Palmisano ha pubblicato ieri l’altro su un blog e fatto rimbalzare sui Social Network.
Un pensiero a tutto tondo che coinvolge, inevitabilmente, la Puglia e un po’ tutto il Mezzogiorno d’Italia. “Bitonto è soltanto un avamposto – sottolinea Palmisano -, un luogo dal quale i sistemi criminali che contano possono inviare segnali dentro un mercato criminale regionale in forte espansione. La Puglia è la terra che vive la dinamica più interessante, perché l’espansione mafiosa sta raggiungendo livelli parossistici, simili a quelli che Sicilia e Campania hanno vissuto negli anni ’70, ’80 e ’90. Con una specificità in più. La forte presenza della ‘ndrangheta negli affari pugliesi”.
E ancora. Leggiamo: “A Bitonto non è stato uno screzio, ma una guerra di potere per il controllo totale della vendita di droga. Del resto, la ‘ndrangheta non ama avere più clan di fiducia. Preferisce verticalizzare i propri alleati. Come fece con la Sacra Corona unita, ora fa con le altre mafie che comperano cocaina. I bitontini sono tra questi. Stanno risolvendo i dissidi interni. Lo stesso sta accadendo a Bari, dentro il quartiere di Savino Parisi, dove la faida interna serve soltanto a stabilire chi sarà il referente per la città per il prosieguo dell’importazione di cocaina da Gioia Tauro. Dal Gargano a Taranto, la regione è attraversata da conflitti di questo genere.
I clan sparano per uccidere, purché gli omicidi definiscano un quadro chiaro a tutti. Ai partner calabresi, alle imprese locali, alla politica. Il livello di omertà è cresciuto di pari passo con la caduta di credibilità dello Stato. A Bitonto questo era chiaro quando, attraversando la città vecchia durante la marcia antimafia organizzata a pochi giorni dall’omicidio di un’anziana innocente, le vedette dei clan hanno contornato la manifestazione con la loro presenza discreta, ai margini, visibile ma non troppo”.
Già, ed è impossibile dimenticare quei momenti, quei dettagli. Che poi tanto dettagli non sono. Le vedette lì appostate, nei vicoli e cunicoli più profondi del Centro storico, quasi a farsi beffe dello Stato e delle istituzioni che lì dovrebbero riportare ordine e libertà. E a guardare bene, dalla testa ai piedi, chi era parte integrante di quella marcia antimafia.
Tutto questo, dunque, porta a un’analisi cruda, assai cruda della situazione: “Si è creato in Puglia quel che era una volta in Sicilia: due società. Una sana, debole; una criminale, forte. Due società che non dialogano. Che non possono confrontarsi. Che non dividono lo stesso codice morale. È anche questo uno dei motivi che spinge sempre più giovani imprenditori pugliesi a scappare all’estero. Un esodo che incide sul declino di una terra cantata dalle guide turistiche come un paradiso, ma che in realtà produce tassi di micro e macrocriminalità da far spavento”
E Bitonto? “Ecco, Bitonto è questo – conclude il sociologo barese – uno specchio fedele dell’arroganza della diffusione mafiosa in Puglia. Un esempio della Puglia che non avremmo mai voluto vedere”.