Raccontare la nostra città, per mestiere prim’ancora che per diletto, sin dai tempi antelucani della macchina per scrivere, è disutile cimento. Soprattutto se si è assediati da professionisti dell’analisi minuziosa del dito – “Quella non era falange, ma falangetta!”, tuonano i saputi ad ogni piè sospinto – e ognora dimentichi di volgere uno sguardo purchessia alla luna. Solo che, col passare precipite degli anni, finisci per somigliare ad una torva Cassandra, anche se per affinità di diottrie smarrite ci si sente più un rassegnato Tiresia. Comunque, transeat. Tuttavia, questa storia va raccontata. Esami di Stato in una scuola bitontina. Un ragazzo, durante la prova scritta, ha un malore. Presto, tutti si attivano ed intervengono con perizia, fino all’arrivo dell’ambulanza del 118. I due giovani operatori sono davvero bravi ed encomiabile. In men che non si dica, l’allarme rientra. Torna la serenità fra docenti e collaboratori. Colto dalla curiosità e dalla preoccupazione, provo a chiedere ai due lodevoli infermieri: “Ma se l’emergenza fosse stata più grave, come avremmo fatto?”. “Lo avremmo trasportato secondo il codice adeguato al pronto soccorso più vicino”, subito replicano. Insisto: “Ma a Bitonto, ci sono ambulanze medicalizzate?”. Balbettano un imbarazzato “No” e vanno via. E allora, dopo aver disposto la sospensione del servizio lo scorso anno, proprio ad agosto, il “disservizio” è stato reso definitivo. Cioè, un territorio di più di 60mila abitanti – altrettante vite da curare -, già privato di una struttura ospedaliera, perché incontestabilmente obsoleta, con un bacino che si allarga ad altri centri, ora non ha più manco il medico sul 118? E ora che non ci sono camici bianchi pure sui mezzi che giungono da Giovinazzo, come fare? Per quanto ancor potrà resistere il Punto di Primo Intervento? Ecco, questi sono i problemi reali, terribili – tradotti in altrettanti interrogativi agghiaccianti – che affliggono la nostra Bitonto, non le stolte beghe da strapaese…